Le baby gang sono radicate principalmente al Centro-Nord e costituite da minori che prendono di mira i coetanei.
Non esiste fino a oggi una mappatura del branco, ma a tentare di fare una fotografia dettagliata del fenomeno ci prova il rapporto esplorativo «Le Gang Giovanili in Italia» realizzato da Transcrime, centro di ricerca interuniversitario sulla criminalità dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Alma Mater Studiorum di Bologna e Università degli Studi di Perugia, in collaborazione con il Servizio Analisi Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno e con il Dipartimento per la Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia. L'indagine prende in considerazione i reati della banca dati di Carabinieri e Polizia.
Si scopre che le baby gang sono aumentate negli ultimi 5 anni e hanno nomi strani, come «Gang del Kalashnikov» a Trieste, «STM-Siamo tutti mafiosi» a Cosenza o «USK» a Verona. Generalmente sono composte da meno di 10 individui, prevalentemente maschi italiani fra i 15 e i 17 anni, che si macchiano di risse, percosse, lesioni, bullismo, disturbo della quiete pubblica e atti vandalici. Lo spaccio di stupefacenti è invece meno comune e riservato a gruppi più strutturati. A cadere tra le grinfie dei baby criminali sono i coetanei tra i 14 e i 18 anni. Quattro le tipologie delle gang. La prima è caratterizzata da legami deboli tra i componenti e dall'assenza di una gerarchia. Ci sono poi gruppi che si ispirano alle organizzazioni criminali italiane, specialmente nel Sud del paese, nella speranza di fare il grande salto. Anche l'emulazione della criminalità straniera fa da calamita per gli extracomunitari. Ci sono infine i gruppi che hanno una struttura definita, specializzati in furti e rapine. I ragazzi sono spinti a entrare in queste realtà dai rapporti problematici con le famiglie, con il sistema scolastico, difficoltà relazionali, disagio economico. Fattori che si sono acuiti durante la pandemia, con i social che rafforzano l'identità di gruppo. «Questo rapporto è un primo passo verso un impegno sinergico tra il mondo della ricerca e le autorità pubbliche», sottolinea il direttore di Transcrime, Ernesto Savona.
«Il nostro compito - aggiunge il Vice Direttore Generale della pubblica sicurezza, Prefetto Vittorio Rizzi - è quello di intercettare i fenomeni di disagio sul nascere, intervenire per evitare un'escalation di violenza e perché le vittime abbiano fiducia nelle forze di polizia».
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