Altro che mea culpa. Le toghe se la prendono con chi reclama pulizia

L'Anm sconfessa i 67 magistrati che hanno scritto a Mattarella contro il Sistema

Altro che mea culpa. Le toghe se la prendono con chi reclama pulizia

L e poche illusioni che l'Associazione nazionale magistrati, il tempio delle correnti in toga che ebbe in Luca Palamara il suo leader riverito e indiscusso, avesse voglia di riformare davvero la giustizia sfumano ieri, quando il Cdc, il comitato direttivo centrale dell'Associazione, conclude i suoi lavori. La risposta dell'Anm all'indignazione sollevata dal caso Palamara è un documento che invece di attaccare davvero lo stapotere delle correnti se la prende con chi quello strapotere ha messo in discussione. Nel mirino dell'Anm non finiscono i signori delle nomine ma i 67 magistrati di tutta Italia che il 20 febbraio hanno lanciato un grido di dolore rivolto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, chiedendogli di scendere in campo con forza. Tutto sbagliato, dice l'Anm. Delle riforme deve occuparsi il Parlamento: un modo piuttosto semplice per rinviare alle calende greche qualunque intervento, in attesa di un improbabile accordo tra le forze politiche. Eppure per il sindacato delle toghe la strada è quella, «non lettere al Presidente della Repubblica per invocare l'esercizio di un potere di sorveglianza per così dire politica, che il suo ruolo di altissima garanzia dell'ordine democratico non conosce». Peccato che Sergio Mattarella, proprio come capo dello Stato, sia anche presidente del Consiglio superiore della magistratura, e che proprio in questa veste i 67 firmatari gli chiedessero di intervenire.

In realtà a risultare indigeribili alle correnti sono soprattutto i punti centrali della lettera dei 67: una modifica elettorale del Csm che passi per il sorteggio degli eleggibili, e l'appoggio ad una commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Palamara. La prima richiesta ha il difetto di depotenziare il ruolo delle correnti e di conseguenza la spartizione preventiva delle nomine: attuata anche dal Csm del dopo Palamara esattamente come prima in più di un'occasione. Ancora più temuto l'ingresso in scena di una commissione parlamentare d'inchiesta, che potrebbe andare a scavare con pieni poteri sui tanti aspetti del marcio in magistratura che l'indagine della procura di Perugia ha toccato solo di striscio o trascurato del tutto.

Sulla capacità dell'Anm di cogliere in pieno la gravità della situazione aveva d'altronde mostrato tutto il suo pessimismo pochi giorni fa uno dei firmatari dell'appello a Mattarella, il giudice palermitano Lorenzo Matassa. Secondo cui la «deriva delittuosa della correntocrazia» aveva «connotati pandemici». Cacciando solo Palamara, ha detto Matassa, «si è scelto di accettare il male minore ovvero quello di non svuotare per intero la vasca sporca. Ma l'acqua contaminata è ancora lì e attende colui il quale dovrà, per necessità, vuotarla».

Il Sistema

Nell'attesa, la risoluzione dell'Anm indica come rimedio «un investimento serio di risorse» per restituire «ai magistrati, la centralità del loro ruolo, capace di assicurare le più alte gratificazioni senza che si senta il bisogno di ricercarle nella occupazione di posti direttivi», frase di oscuro significato dovendosi escludere che si tratti di una richiesta di aumenti salariali generalizzati. E così alla fine l'unica cosa concreta è l'appello al governo perché torni a inserire i magistrati nell'elenco delle categorie da vaccinare per prime contro il Covid-19.

Su questo tema finora ogni tribunale era andato in ordine sparso, chiedendo e spesso ottenendo corsie preferenziali. Ora l'Anm chiede che si faccia chiarezza con un provvedimento formale, allargando lo stesso trattamento all'intero comparto, compresi cancellieri e avvocati.

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