In un mondo (giornalistico) in cui sono prediletti i soprannomi, i nomignoli, i diminutivi, i vezzeggiativi, La Russa - d'un tratto - diventa Ignazio Benito Maria La Russa. Tutto quanto insieme. La stampa progressista continua a riproporlo. Persino nei titoli, con ovvia difficoltà di spazio. Benito. Della sfilza di nomi è quello lì che gli interessa sottolineare. Li fa sbiellare. Benito. Presidente del Senato. La seconda carica dello Stato. E la terza? Anche lì, un travaso di bile. Lorenzo Fontana, il leghista. Per lui niente nome. Solo le note di demerito: "ultrà cattolico", "entusiasta di Putin".
Ebbene no, non saranno i presidenti di tutti. Non per scelta loro. La Russa è partito col piede giusto. Ieri, a Palazzo Madama, ha pronunciato un discorso conciliante che guardava alla pacificazione del Paese, un discorso che puntava a chiudere i conti con l'odio che in passato ha macchiato di sangue la storia della nostra Repubblica. Ha nominato Sergio Ramelli, ma anche Fausto e Iaio. Un discorso istituzionale, insomma. Ma non per la sinistra che la guerra civile ce l'ha sempre nelle vene. E i toni usati sui giornali, nei talk show, sui social network sono quelli da guerra civile. Una raffica d'odio. La solita Rula Jebreal che definisce "l'estrema destra una minaccia per l'Italia e l'Europa". O il solito Michele Santoro che, davanti a un divertito Giovanni Floris a Dimartedì, si lancia in un - questo sì - aberrante paragone tra Giorgia Meloni e Adolf Hitler. O la solita vignetta di Vauro con un La Russa in camicia nera che marcia su Palazzo Madama. O (ancora) la solita ossessione per il pericolo fascismo di Corrado Formigli: "Con tutti i senatori che c'erano a Palazzo Madama, proprio Ignazio Maria Benito La Russa dovevate eleggere?".
Non ci sarà alcuna pacificazione. Non per loro. Lo continuano a rimarcare tutti. "Ma quale pacificazione!", si è spazientita Lilli Gruber a Otto e Mezzo. E forse ha ragione. Perché il rancore della sinistra è ancora tutto lì. Ancor prima che venisse votato, Fontana è stato "accolto" a Montecitorio dallo striscione "No ad un presidente omofobo". L'Aula della Camera ridotta a bar. E fuori? Altro odio. Ovunque. Su Twitter il solito Enrico Letta che dà il via allo sfogatoio democratico con un post di inaudita violenza: "L'Italia non merita questo sfregio". O il solito Alessandro Zan, quello del ddl che ha a lungo diviso la politica, che dopo la bravata dello striscione parla di "figure divisive e reazionari". O il solito Carlo Calenda a dare patentini: "Quei due sono inadatti a presiedere le istituzioni repubblicane". O (ancora e ancora) la solita Laura Boldrini secondo cui "Fontana non può rappresentare tutta la Camera". O anche il solito Nicola Fratoianni che sbotta: "Non può essere lui" (rivolto sempre a Fontana).
In agitazione perenne da quando la Meloni ha vinto le elezioni, la sinistra inaugura così un'altra legislatura all'insegna dell'odio.
C'è già chi si dice "pronto a scendere in piazza e a fare barricate" contro "il medioevo dei diritti" della nuova maggioranza. Nessuna riconciliazione, dunque. Sempre e solo livore, ostilità e rancore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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