Carlo Calenda raddoppia: passa da 3 a 6. Ma non lascia. La lista Azione-Italia Italia diventa il Sesto Polo, aggiudicandosi la sfida tra i piccoli partiti con Fratoianni e Bonelli. Matteo Renzi è già pronto a cambiare aria. Nel day after delle elezioni politiche, al quartier generale del Terzo Polo il morale è a pezzi. L'opa su Forza Italia fallisce. Al Sud il partito di Silvio Berlusconi raddoppia le percentuali del Terzo Polo. Si salvano solo i big paracadutati in più listini al proporzionale. Carlo Calenda reagisce male: «L'Italia ha scelto l'incompetenza». Niente fair play.
L'analisi post voto non lascia spazio a dubbi: il progetto non decolla. La soglia fissata da Renzi e Calenda al 10 è un miraggio. Il Terzo Polo (sesto nei voti) va meglio al Nord: in Toscana e Lombardia percentuali superiori all'8 ma comunque sotto il 10. La pattuglia di parlamentari, 19 alla Camera e 10 al Senato, sarà quasi ininfluente negli equilibri. Renzi già ragione su altre prospettive ed è pronto ad archiviare Calenda. Si guarda verso il centrodestra. Mentre le ministre ex Fi, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, si sarebbero già pentite dopo l'addio a Forza Italia. Tant'è che tra i berlusconiani si ironizza: «Tempo due mesi e Carfagna e Gelmini busseranno alla nostra porta con la testa coperta di ceneri».
Morale a terra e caccia agli errori che hanno frenato l'exploit del polo che da ieri Calenda ribattezza come polo della serietà: sono questi gli umori che si respirano all'hotel Mediterraneo. Matteo Renzi è volato in Giappone. Calenda è costretto a prendersi gli schiaffi in pubblico. In conferenza l'ex ministro ammette: «Il Paese ha consapevolmente scelto la strada del populismo». «Ora, spiega l'ex ministro e manager, il traguardo da superare nel corso della legislatura che sta per iniziare è quello di costruire un polo del buon governo, del pragmatismo e della serietà». La base è solida: il 7,8% dei consensi è visto in Azione e in Italia viva come un trampolino per fare bene. Il primo punto del nuovo programma è quello di aprire un «cantiere» che dovrà portare in tempi brevi alla nascita di «un grande partito liberale e riformista» per evitare «il rischio mortale» rappresentato da una politica fatta da chi «urla di più, promette di più e realizza di meno, che ha fatto declinare l'Italia». Un partito che non sarà solo l'unione dei due movimenti creati da Calenda e Renzi, ma che sarà aperto a tutti coloro che si riconoscono in quella prospettiva; anche a +Europa, se vorrà, e a Emma Bonino, che rimarrà fuori dal Parlamento dopo essere stata «usata dal Partito democratico».
Il confronto per mettere in campo questa «battaglia culturale» partirà da subito, già nelle prossime settimane, per far sì che la politica sia «interpretata come arte di governo, capacità di realizzare le cose e non una presa in giro», insiste Calenda. Un partito, riassume Mariastella Gelmini, che «dovrà rimanere lontano da chi fa promesse che scassano i conti dello Stato».
Mentre il ministro Carfagna prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: «Un risultato senza precedenti, con la differenza che per qualcuno, per esempio Forza Italia, l'8 e qualcosa percento è un punto di arrivo, per noi è un punto di partenza, molto solido, su cui noi scommettiamo moltissimo per offrire a un pezzo di Italia, che si allargherà sempre di più, una proposta solida, liberale, pragmatica». La delusione è tanta per un progetto che sembra già morto in partenza. E i precedenti di Monti non incoraggiano.
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