Ambigue e un po' punk Valentino riveste le eroine di Shakespeare

I ricami sartoriali hanno richiesto fino a 600 ore di lavoro. Da Margiela il cappotto da sera

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La voce dell'imminente passaggio di Maria Grazia Chiuri da Valentino a Dior si aggira come lo spettro di Banco sulla couture invernale della maison romana in passerella ieri sera a Parigi.

Il backstage blindato e il categorico rifiuto di affrontare l'argomento, sono gli unici segni di un cambiamento in corso senza comunque cadere in tragedie o commedie shakespeariane lontane anni luce dallo stile umano dei due direttori creativi. Per altro la collezione è proprio ispirata dal Bardo dell'Avon o, meglio, dalla sua rivoluzionaria idea del mondo come un palcoscenico su cui ciascuno svela la sua personalità. «Ogni abito racconta una sfaccettatura dell'identità» spiega Pierpaolo Piccioli, mentre Chiuri snocciola i nomi dei 61 capolavori che sfilano sulla musica drammatica e solenne del Romeo e Giulietta di Prokofiev. Lo spettacolo comincia con «Onore», un tailleur pantalone con la giacca tagliata a giustacuore che piacerebbe alla versione contemporanea e femminile di Amleto, qualcuno che all'angosciosa domanda «essere o non essere» evita per principio l'assurda risposta: «Aspetta che guardo il mio Instagram». In rapida successione arrivano dei meravigliosi vestiti a boule in cotone bianco come «Galanteria» che toglie il fiato per la raffinata semplicità declinata anche nella blusa di popeline e pizzo diafano battezzata «Cortesia». Poi c'è un abito nero di nome «Devozione» con cui comincia il gioco delle gorgiere elisabettiane che a modo loro chiudono il cerchio della modernità aperto dagli stupendi stivali da guerriera indossati perfino con il più romantico degli abiti da sera chiamato «Valorosa». Quest'ultimo è costato 580 ore di lavoro per costruire una base di tulle nero a punto smock su cui poi viene ricamato un sonetto: «Se mi ami sarò sempre nel tuo cuore, se mi odi sarò sempre nella tua mente». Basterebbe anche meno per dare fiato alle trombe delle illazioni, ma forse la sola cosa che val la pena sottolineare in questo momento è l'immensa bravura dei due designer e dell'amministratore delegato Stefano Sassi che insieme hanno triplicato il fatturato della Valentino da circa 250 milioni nel 2008 al sonoro miliardo o giù di lì di oggi. Certo, fa impressione pensare che Maria Grazia e Pierpaolo potrebbero smettere di lavorare insieme dopo 26 anni, ma non è un caso se alla domanda sull'eroina shakespiriana preferita lei risponde Lady Machbet e lui Giulietta. Ci sono proprio tutte in passerella: dalle figlie di Re Lear con il cappotto battezzato «Regalità» in cashmere bianco con feritoie di velluto nero (490 ore di lavoro in sartoria) alla tenerissima Ariel di Sogno di una notte di mezza estate magicamente rappresentata da «Grazia», abito in chiffon e tulle rosa. Non vogliamo nemmeno pensare che questo potrebbe essere quel che nel Riccardo III è definito «l'inverno del nostro scontento». Preferiamo sognare le parole di Antonio a Cleopatra: «Devi scoprire un nuovo cielo e una nuova stella».

Quel genio di John Galliano riesce a fare più di chiunque altro il punto sulla Brexit con un'epocale collezione Margiela Artisanal in cui il MacIntosh diventa abito da sera e la sottana di tweed della regina a Balmoral è lo sprone di un cappotto sublime. Anche Viktor & Rolf fanno un lavoro incredibile di assemblaggio con tessuti e pezzi del loro stesso archivio, non cuciti ma intrecciati a mano costruendo non si sa come perfette forme sartoriali.

Antonio Grimaldi si ispira al sogno di Icaro di Bruegel il Vecchio per i suoi 11 modelli da sera presentati in forma statica al Ritz dove si può ammirare la stupefacente

collezione di alta gioielleria di Giampiero Bodino. C'è perfino un collier con 2915 diamanti, due collane con strepitosi orecchini e la versione contemporanea del collare di San Gennaro. Un vero spettacolo di arte e poesia.

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