L'obbiettivo sono le elezioni europee del 2024. É per quella scadenza che deve prendere corpo il «partito unico dei liberal-democratici», puntando ad un risultato «a due cifre» in quella competizione, la più fertile per il voto di opinione, per poi rilanciare il proprio ruolo sulla scena politica italiana.
Matteo Renzi e Carlo Calenda si danno appuntamento a Milano, ad un convegno promosso da Renew Europe, per lanciare un progetto ambizioso, che vada oltre i confini del Terzo Polo che ha debuttato - con risultati buoni ma non eccellenti - alle ultime politiche. Di «partito unico» si parla insistentemente anche a destra, dove però le resistenze dei leader e dei singoli partiti frenano il cammino. Calenda prova invece a buttare il cuore oltre l'ostacolo proponendo una road map a tappe forzate: in primavera la «carta dei valori», entro l'autunno la «assemblea costituente». «Siamo un'area con differenze profonde ma che hanno costruito l'Italia, i liberali, repubblicani, i riformisti, la parte dei social democratici che hanno capito che non esiste una giustizia sociale che si costruisce per decreto», dice, tenendo la mano alla diaspora radicale da un parte, alla pulviscolare galassia liberale, e soprattutto agli scontenti di un centrodestra sempre più di destra e di un Pd sempre più spaccato e succube del populismo grillino: «Il Pd non è riformabile, la sua base è divisa. Può vincere Bonaccini o la Schlein ma continueranno solo a parlare del campo largo», avverte. Le premesse fanno ben sperare sul potenziale attrattivo della nascita di una formazione liberal-riformista: l'auditorium di Milano è gremito, la gente fa la fila fuori, fanno capolino anche esponenti schierati con il centrosinistra come il radicale Benedetto Della Vedova («C'è un grande spazio politico ancora vuoto, che vuole trovare una rappresentanza: bisogna provare a dargliela», dice) e il neo-parlamentare Pd Carlo Cottarelli. C'è anche il pannelliano Marco Cappato, che spiega: «Non pretendo di stare in un partito in cui tutti la pensano come me sull'eutanasia: far politica significa confrontarsi, dibattere e trovare compromessi». Per Matteo Renzi, il governo di centrodestra «mostra i primi segni di difficoltà. La luna di miele di Meloni continuerà ancora, però lei nel 2023 perde due cose: l'effetto novità, perché sulla vicenda benzina si è incartata da sola». E poi, aggiunge con perfidia, «Meloni non ha più il suo principale asset strategico: Enrico Letta. Senza di lui non ce l'avrebbe fatta». Se nei prossimi mesi la spinta propulsiva dell'esecutivo si arenerà, «toccherà a noi costruire politica di governo». Ma, avverte, guai a infilarsi nel pantano in cui è finito il Pd col suo congresso: «Cerchiamo, in questo percorso, di non farci prendere dalla piddìte, ammazzandoci sulle regole del nuovo partito». Bisogna andare oltre «la mera sommatoria di Azione e Italia viva», e «essere pronti a ragionare con tutti, ma dandoci un grande obiettivo finale: essere nel 2024 quelli che costruiscono l'Europa e che costituiscono un'alternativa per l'Italia».
E a proposito di sponde europee, l'europarlamentare (e «macroniano» della prima ora) Sandro Gozi avverte che chi nel centrodestra, come il leader del Ppe Manfred Weber e lo stesso ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, auspica un cambio di
equilibri nel Parlamento europeo grazie ad un'alleanza con i liberali di Renew: si sbaglia di grosso: «Non ci pensino nemmeno. Se il Ppe continua a inseguire la destra reazionaria e sovranista, noi non ci saremo», assicura.
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