Tutto avrei pensato sabato pomeriggio mentre seguivo a distanza la manifestazione pro Palestina di Milano per scriverne sul quotidiano che avete tra le mani, tranne che diventare bersaglio dell'odio anti israeliano. Eppure tra i cartelli esposti con i volti e i nomi di presunti «agenti sionisti», oltre alla senatrice Liliana Segre, all'ex presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici e al ministro della Difesa Guido Crosetto, c'ero anche io. Il sentimento di stupore ha presto lasciato spazio alla preoccupazione e all'inquietudine perché diventare bersaglio di quella che è una vera e propria intimidazione non è cosa da sottovalutare. Anche perché arriva da una piazza in cui sono presenti gruppi radicali, frange estremiste, figure note alle forze dell'ordine, pregiudicati e il pericolo di essere esposti a rischi personali e ad eventuali ritorsioni, anche alla luce di post in cui si condividono le immagini con i nostri volti corredati dalla scritta «noi sappiamo», è tutt'altro che remoto.
Il lettore si chiederà come sono finito ad essere preso di mira dai gruppi pro Pal radicali e me lo sono domandato anch'io. La mia «colpa» è di essermi recato a poche settimane dal 7 ottobre in Israele per fare un reportage dai kibbutz colpiti da Hamas incontrando rifugiati israeliani, persone scampate al massacro, parenti degli ostaggi. Poi aver pubblicato con la casa editrice Giubilei Regnani i libri di autori come Fiamma Nirenstein, Yoram Hazony, Emmanuel Navon organizzando eventi e conferenze in tutta Italia in cui ricordare il 7 ottobre. Senza dubbio hanno contribuito numerosi interventi televisivi in questi mesi in cui ho sempre ricordato la genesi della guerra a Gaza e le atrocità commesse da Hamas. Inoltre ha giocato un ruolo anche aver denunciato sulle pagine de Il Giornale le ignobili liste di proscrizione realizzate dal nuovo Partito Comunista Italiano ispirate dal partito dei Carc. Non a caso i cartelli contro gli «agenti sionisti» sono stati esposti in una parte del corteo in cui sventolavano le bandiere del Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo.
Tutte cose che non solo rifarei ma che rivendico, mi auguro però che dalle parole e dai cartelli dal chiaro intento intimidatorio non si passi poi a minacce di altro genere e spero da oggi in avanti ci sia garantita la necessaria sicurezza in eventi, iniziative e manifestazioni che continueremo a organizzare. Al tempo stesso però mi auguro (ma sono certo sarà così) che le forze dell'ordine dedichino la giusta attenzione a questi episodi e prendano i necessari provvedimenti. Ciò non significa intaccare il diritto di manifestare ma un conto è organizzare un corteo in cui esprimere le proprie idee, un altro è redigere liste di proscrizione e additare bersagli con il rischio che qualche malintenzionato possa passare all'azione.
In ogni caso una cosa è certa: se con queste modalità di azione pensano di intimidirci, tapparci la bocca o non farci dire la nostra si sbagliano di grosso.
Continueremo a difendere la nostra libertà di parola esponendo i valori in cui crediamo, arretrare o cedere a queste modalità di azione significherebbe solo darla vinta ai nuovi squadristi che, dopo aver occupato università e recitato per mesi slogan d'odio, ora alzano il tiro e individuano bersagli in carne ed ossa da colpire. Una deriva inquietante con troppe analogie con gli anni Settanta per poter essere presa sottogamba.
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