«La situazione è tragica e qualsiasi misura, come quelle finora ventilate dal governo, non servirebbe che a rimandare quello che, nel settore energetico italiano, è un problema strutturale di cui paghiamo oggi le conseguenze; non serve piangere sul latte versato». Parole come pietre quelle di Davide Tabarelli, presidenze della società di consulenza energetica Nomisma Energia, che non nasconde le responsabilità del governo colpevole, dice, di aver sottovalutato la tempesta che era alle porte.
Il premier Draghi al meeting di Rimini ha detto che l'Italia ce le farà a contrastare la crisi energetica. Concorda?
«In queste come in altre dichiarazioni ho avvertito un ottimismo non fondato, come quando il premier parla degli stoccaggi di gas che hanno raggiunto una riserva dell'80 per cento. La verità è senza il gas russo non ce la possiamo fare e il razionamento sarà inevitabile».
Il governo poteva prendere misure che ci avrebbero protetto dal disastro?
«É chiaro che oggi siamo di fronte a un'emergenza europea, ma i rincari energetici sono cominciati a decollare già un anno fa quando gli Usa annunciavano i venti di guerra. Eppure già due anni fa il costo dell'energia era salito da 6 a 10 euro a megawattora, cioè un rincaro del 40%».
Quindi?
«C'era tempo per iniziare a mettere mano alla situazione diversificando gli approvvigionamenti. Il governo e i partiti avrebbero dovuto guardare in faccia alla realtà e capire che era un'assurdità, ad esempio, non opporsi alla chiusura definitiva delle centrali a carbone presenti sul territorio nazionale. Dalla centrale di Brindisi a quella di La Spezia, l'Italia oggi avrebbe potuto contare su quattro grosse unità che, tutte insieme, producono il doppio dell'energia attualmente prodotta dalle fonti rinnovabili».
Quali altri errori di valutazione sono stati fatti?
«L'errore maggiore è stato quello di piegarsi all'ecologismo populista dei 5 Stelle e della sinistra radicale che hanno imposto in Parlamento la chiusura delle centrali per la cui riattivazione, se si volesse, occorrerebbero 7-8 mesi, quindi a inverno concluso. Poi, con la produzione nazionale già in crisi, il governo approva a febbraio il Pitesai, il Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee. Quel piano era stato partorito dal governo grillino per individuare solo aree idonee alla trivellazione, ma è un obbrobrio che di fatto rende irrealizzabile lo sfruttamento dei nostri giacimenti di idrocarburi. Avremmo risorse per almeno 3 miliardi di metri cubi di gas. E invece...».
Invece?
«Quel piano, così com'è, è populista e scandaloso e il governo Draghi, anzichè approvarlo, avrebbe dovuto cestinarlo. La realtà oggi è che per i prossimi anni in Italia una vera alternativa energetica all'importazione di gas non esiste. Ciò anche per colpa della demagogia: voglio sottolineare che tra i No Trivelle abbiamo avuto regioni rosse come l'Emilia di Bonaccini e di centrodestra, come il Veneto di Zaia. Oggi paghiamo 30 anni di ostilità e assenza di ricerca».
Il premier dice che è ora di separare i costi del gas da quelli dell'energia. É corretto?
«Fino a un certo punto. Sono 30 anni che il mercato dell'energia si basa dai costi marginali degli impianti a gas, in un Paese dove l'industria elettrica dipende per una buona metà proprio dal gas. É anche grazie a questo se per un decennio i prezzi dell'elettricità sono stati bassissimi».
Draghi ha tuonato contro le aziende che stanno speculando su questa crisi.
«Anche
qui bisogna andare cauti a parlare di extraprofitti. Giusto tassare le aziende di rinnovabili ma senza dimenticare che, senza alti profitti, difficilmente continueranno ad investire nei nuovi impianti che tutti auspicano».
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