«Questo è il mio secondo terremoto qui in Marocco. Il primo fu nel 1969 a Casablanca. A quel tempo ero un ragazzino e fuggii di notte terrorizzato, assieme a mio padre. Stavolta più della paura mi colpisce l'incertezza sull'entità del danno. Stamattina (ieri per chi legge, ndr) pensavamo a qualche centinaio di morti. Adesso, a dodici ore di distanza, mi rendo conto che l'entità reale dei danni e delle vittime è ben più devastante». Il 67enne Corrado Corradi, un parmigiano Direttore del Comitato Scuole Italiane, descrive così - in questa intervista a Il Giornale - il suo stupore di fronte alla distruzione causata dal sisma di venerdì notte. «Fino a questa mattina - racconta era impossibile rendersi conto dell'ampiezza e del raggio delle scosse. Poco a poco incominciamo a realizzare che l'area è vastissima. Inoltre la distruzione in molte zone è totale».
Dobbiamo aspettarci molte più vittime?
«Ho visto un video della città di Imlil tra Marrakesh e Ouarzazate e mi son reso conto che non esiste più. Per ora stiamo contando solo i morti che sono riusciti a uscire dalle case, ma una stima più reale si avrà soltanto domani o dopo, quando le squadre di soccorso tireranno fuori quelli rimasti sotto le macerie. E credetemi saranno tanti».
Colpa del terremoto o dello scarso rispetto delle norme antisismiche?
«La vecchia struttura urbanistica delle città marocchine costruite, a suo tempo, dal genio italiano e francese ha retto. Le zone più colpite sono quelle dei paesi e dei villaggi dell'Atlante tra Marrakech e Essaouira. Lì le case in terra e sassi sono state letteralmente spazzate via. E con esse sono andati giù i capannoni e le case in cemento disseminati lungo le principali rotabili e costruiti negli ultimi anni dai migranti rientrati da Italia e Francia».
Dunque cosa teme?
«Un bilancio finale devastante. Il Marocco è un Paese di 40 milioni di abitanti con una parte rurale assolutamente consistente. E lì il colpo è stato tremendo».
I soccorsi si muovono?
«La macchina dei soccorsi è tradizionalmente efficiente perché strutturata sull'osservazione delle due distinte faglie sismiche che si sviluppano a nord e a sud di Rabat. Grazie a una continua e preventiva raccolta dati su case e villaggi in quelle zone i soccorritori sanno come muoversi. Il problema è che non sempre hanno le nostre dotazioni tecniche e le nostre disponibilità».
Cosa può fare l'Italia
«Probabilmente scarseggiano cani molecolari e sonde
termiche. L'Italia se vuole dare un aiuto serio non deve inviare manodopera, ma attrezzature. Inoltre sarà cruciale garantire i soccorsi a chi dovrà passare l'inverno su una catena dell'Atlante dove il clima è assai rigido».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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