Sì alla clausola di salvaguardia, ma che non sia un alibi per aumentare la spesa pubblica in Italia. Questo il monito arrivato ieri dall'Europa. L'ennesimo di una serie di «richiami» informali sulla gestione della nostra economia.
Se la sospensione del patto di Stabilità anche per il 2023 è stata una boccata d'ossigeno per molti Paesi europei, Italia in testa, le dichiarazioni delle ultime ore svelano come lo sguardo di Bruxelles su Roma non sia dei più concilianti. Dopo le raccomandazioni su tasse e catasto, Roma è sempre più «un'osservata speciale».
«Le nostre raccomandazioni prevedono che l'Italia limiti la crescita della sua spesa corrente», ha precisato il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, in un'intervista alla Stampa aggiungendo che «non viene aperta alcuna procedura, ma torneremo a valutare la situazione in autunno e anche nella primavera del prossimo anno». Un ritorno a una certa austerity espressa ieri anche dalla ex «locomotiva d'Europa» secondo cui «al momento non c'è nessuna recessione, nessun crollo della crescita e anche i mercati del lavoro sono stabili, quindi tutti i dati avrebbero parlato a favore di non estendere la clausola di salvaguardia, bensì di tornare alla normalità con il Patto di stabilità» ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner all'Ecofin. La Germania prende dunque «atto della decisione di Bruxelles» ma niente fraintendimenti, «il 2023 deve già essere usato per il consolidamento».
Per Berlino ora è fondamentale tornare rapidamente a una politica di bilancio neutrale. Secondo Lindner «l'inflazione è un serio rischio» da affrontare per l'intera Ue. «Dobbiamo uscire da una politica fiscale espansiva, bisogna consolidare velocemente i bilanci e ridurre il nuovo indebitamento», ha aggiunto.
Peccato che la fotografia economica dell'Italia sia quella di un'economia già compromessa. Il clima di incertezza, la guerra in Ucraina e il continuo rialzo dei prezzi energetici, si sono abbattute sulle previsioni di crescita dell'industria italiana. In pochi mesi la stima del fatturato della manifattura si è ridotta di un terzo scendendo a +1,5% rispetto al +4,9% delle previsioni di ottobre 2021. L'anno scorso la manifattura italiana è riuscita a mettere a segno un rimbalzo, raggiungendo i livelli pre-Covid. Il fatturato - secondo l'analisi dei settori industriali di Intesa Sanpaolo e Prometeia - ha segnato un +5,4% sul 2019, superando la soglia record di 1.000 miliardi. Ma la crescita ora rallenta. C'è un quadro ricco di «fortissime incertezze, e non solo legate alla guerra in Ucraina. Ci sono molte incertezze che conducono l'economia mondiale verso un tendenziale rallentamento, con rischi di recessione», spiega Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo. Guardando ai singoli settori manifatturieri, nelle ultime tre posizioni della classifica 2022 si posizionano i produttori di mobili, elettrodomestici e autoveicoli e moto. Per contro, le prospettive restano positive, sebbene meno brillanti, per i settori sostenuti dal Pnrr e dagli investimenti già programmati per la transizione green e digitale: prodotti e materiali da costruzione (+5%), meccanica (+3,8%), elettrotecnica (+3,2%) ed elettronica (+2,4%).
Tornando al quadro europeo, attualmente 17 Stati
membri non rispetterebbero le regole del deficit e cinque quelle del debito (l'Italia è in entrambi i gruppi), e per far rientrare tutti nelle regole servirebbe uno sforzo fiscale che rischierebbe di compromettere la crescita.
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