C'è lo zampino di Bankitalia nel fallimento di Etruria?
Il caso della banca di cui era vicepresidente papà Boschi approda in commissione parlamentare d'inchiesta, e riaccende la polemica su una vicenda che tanti guai ha procurato ai dem. Che ieri, dopo l'audizione del procuratore della Repubblica di Arezzo che indagò sulla questione, cantavano vittoria con Matteo Orfini per lo «sgretolamento del castello di sciocchezze» sul fallimento di Banca Etruria. «La verità, prima o poi, viene a galla», esulta il senatore renziano Andrea Marcucci.
Il procuratore Roberto Rossi non solo ha escluso che il padre dell'ex ministro Maria Elena Boschi abbia partecipato alle riunioni durante le quali furono deliberati finanziamenti finiti poi in sofferenza, configurando il reato di bancarotta per Etruria. Ma ha anche tirato in ballo il ruolo di Via Nazionale: «Dalla relazione Bankitalia a noi inviata, dopo la terza ispezione su Etruria, si legge che è stata lasciata inevasa la richiesta dell'organo di vigilanza di operazione con partner di elevato standing, e non è stata portata all'attenzione dell'assemblea dei soci l'unica offerta giuridicamente rilevante cioè quella avanzata da Banca popolare di Vicenza», racconta Rossi rievocando i fatti del biennio 2013-2015. E questo riferimento di Bankitalia alla Popolare di Vicenza «ci è sembrato un poco strano», dato che «nella relazione ispettiva del 2012 su Vicenza, sembra di leggere le relazioni su Etruria: vengono descritte l'inadeguatezza degli organi, i crediti deteriorati e anche le azioni baciate che almeno ad Arezzo non c'erano». La Banca d'Italia, insomma, avrebbe cercato di spingere Etruria tra le braccia di una banca (la Popolare di Vicenza) che stava messa peggio di lei. E dopo la mancata fusione, osteggiata dall'istituto aretino, i vertici di Etruria vennero sanzionati e commissariati. Via Nazionale, spiega Rossi, «stigmatizza l'operato dei vertici di Etruria e, come si legge, il ruolo contraddittorio del presidente Rosi che nelle trattative con Vicenza, a fronte di rassicurazioni che forniva, teneva comportamenti che hanno portato all'interruzione della trattativa». E l'impressione, aggiunge il procuratore, «è che questo sia stato determinante nel commissariamento».
Il presidente del Pd Orfini punta subito il dito: «Iniziano ad emergere le vere responsabilità, a cominciare da quelle di Banca d'Italia sia nella mancata vigilanza sia nell'immaginare di riorganizzare parte del sistema intorno alla Popolare di Vicenza, le cui difficoltà pure erano abbastanza evidenti già allora». Bankitalia smentisce di aver caldeggiato la fusione con la veneta: «Non abbiamo mai sostenuto il matrimonio con la Popolare di Vicenza». Ma il Pd parla di vicenda «incredibile» e attacca: «Bankitalia non ha vigilato mai nulla».
I più seccati per «l'esultanza dei renziani» sono i Cinque Stelle, che avvertono: «Non si sognino di scaricare le responsabilità».
Sta di fatto però che il terzo grado cui il grillino Sibilia ha sottoposto il procuratore aretino in commissione perché accusasse Boschi senior è stato un boomerang: «Boschi non ha mai partecipato a delibere per finanziamenti che fondano il reato di bancarotta», spiega, tant'è che non fu rinviato a giudizio. E aggiunge: «Le persone si distinguono non per di chi sono figli o padri, ma per i comportamenti».
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