Rischia di diventare un caso diplomatico tra Italia e Pakistan il giallo sulla morte della 25enne bresciana di origini pakistane Sana Cheema. Ciò che è certo è che la ragazza, che condivideva usi e costumi occidentali, è morta a Gujrat il 18 aprile ed è poi stata sepolta in un luogo diverso dalla tomba di famiglia. Il pretesto dell'omicidio potrebbe essere stato il rifiuto del matrimonio combinato imposto, così come da tradizione pakistana. Dopo caotiche ore contraddistinte da ammissioni e smentite, ieri sera è arrivata una nuova svolta, direttamente dalle parole del segretario della comunità pakistana in Italia Raza Asif: «Lo zio, il padre e il fratello di Sana sono in custodia della polizia locale, è ufficiale». Dopo l'annuncio della riesumazione del corpo per l'autopsia, è la prima vera conferma della mobilitazione delle forze dell'ordine sul caso che sta scuotendo l'opinione pubblica pakistana. «Ho parlato con le autorità chiedendo la versione ufficiale: mi hanno confermato i tre arresti», ha precisato Asif.
La notizia del fermo dei tre uomini era stata confermata dall'ambasciata italiana a Islamabad dopo che, lunedì, il padre 55enne Mustafa Ghulam, il fratello 31enne Adnan Cheema e lo zio Iqbal Mazhar, erano stati bloccati mentre stavano scappando verso l'Iran. Secondo la ricostruzione del Giornale di Brescia - che il 21 aprile ha messo in prima pagina la vicenda - padre, fratello e zio sarebbero accusati di omicidio e di sepoltura senza autorizzazione. Non solo, perché pare che a essere coinvolte siano altre due persone: il medico che ha firmato il certificato di morte e un cugino della ragazza che ha fatto da autista per il trasporto del cadavere. È uno scenario terrificante, quello che va quindi lentamente delineandosi grazie a ricostruzioni e testimonianze incrociate. Una trama color rosso sangue, frutto di una distanza culturale tra Occidente e Medioriente a volte incolmabile, in cui la stessa famiglia di Sana potrebbe essersi trasformata in una banda di killer senza pentimento.
Ma la vicenda promette di avere ripercussioni anche in Italia: mentre la procura di Brescia ha aperto un'inchiesta, al momento senza ipotesi di reato né indagati, affidata al sostituto procuratore Ambrogio Cassiani, la rete si è mobilitata per chiedere verità e giustizia.
#VeritaPerSana, #TruthForSana, #GiustiziaPerSana: sono solo alcuni degli hashtag sul web da un'iniziativa di Wajahat Abbas Kazmi, blogger, regista e attivista per i diritti umani di origine pakistane residente a Bergamo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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