"Avvertì rumori strani, poi inserì i forchettoni". I pm: Tadini ha mentito

Si complica anche la posizione di Perocchio: «Chiamò due volte i tecnici, sapeva dei fermi»

"Avvertì rumori strani, poi inserì i forchettoni". I pm: Tadini ha mentito

Ai magistrati aveva detto che domenica, prima del disastro del Mottarone, non aveva sentito rumori sospetti. Ma Gabriele Tadini - il caposervizio della funivia che con le sue dichiarazioni ha aperto uno squarcio sulle responsabilità che hanno contribuito alla tragedia costata la vita a 14 persone, ammettendo di aver disattivato i freni di sicurezza per ovviare ai blocchi continui che avrebbero potuto costringere la chiusura dell'impianto per manutenzione - stava mentendo. Delle anomalie le aveva riscontrate, ma non gli aveva dato seguito correndo il rischio di far lavorare la funivia.

La Procura di Verbania, nella richiesta di arresto, lo accusa anche di falso per avere annotato nel registro giornale l'esito positivo dei controlli malgrado «un rumore caratteristico riconducibile alla presumibile perdita di pressione del sistema frenante della cabina, che si ripeteva ogni 2-3 minuti, per ovviare al quale decideva di lasciare inseriti i forchettoni rossi». Episodi che si sarebbero verificati almeno in due occasioni, ossia il 22 e il 23 maggio, proprio il giorno in cui ha ceduto la fune traente. «Ha messo questi forchettoni un paio di volte, poi li ha tolti, molto spesso con la cabina vuota. Faceva delle prove perché c'erano questi rumori che non lo convincevano», spiega il suo legale, Marcello Perillo. Domenica Tadini era al lavoro vicino ai monitor quando la telecamera del sistema di video sorveglianza si è spenta. Ha intuito che qualcosa non andava, ma non ha visto nulla, né sentito il tonfo della cabina numero 3 che si schiantava al suolo. Oggi, durante l'interrogatorio di convalida, dovrà rispondere anche di non aver segnalato «tempestivamente all'Ustif del Piemonte e Valle d'Aosta (ufficio speciale per i trasporti ad impianti fissi) tutte le anomalie od irregolarità riscontrate nel funzionamento dell'impianto». La Procura ha chiesto il carcere per lui e per gli altri due fermati, Luigi Nerini, il titolare delle Ferrovie del Mottarone, ed Enrico Perocchio, l'ingegnere della Leitner direttore del servizio, che per ora respingono le accuse negando di aver avallato il blocco dei freni per salvaguardare gli incassi. I pm ritengono che potrebbero inquinare le prove, concordando le proprie versioni, o provare a fuggire. Nell'interrogatorio fiume di martedì notte Tadini ha inguaiato Perocchio e Nerini: loro sapevano ed erano d'accordo. Per evitare ripercussioni di carattere economico proprio ora che stavano cominciando a tornare i turisti. Per l'accusa il caposervizio aveva condiviso con entrambi la decisione di disattivare il sistema frenante e il fatto che a richiedere per due volte l'intervento dei tecnici sia stato Perocchio «dimostra che egli fosse assolutamente consapevole delle anomalie». Sarebbe irrealistico, scrivono i pm nella richiesta di misura cautelare, pensare che non fosse a conoscenza dei forchettoni. Sotto la lente della Procura anche le ditte che si occupavano della manutenzione dell'impianto e che avevano effettuato i controlli non riscontrando anomalie.

Fondamentale sarà poi capire se c'è una connessione tra la rottura della fune e gli allarmi che facevano scattare i freni di emergenza, motivo per cui erano stati inseriti i forchettoni. Forse quegli allarmi stavano segnalando che la fune stava per cedere e sono stati colpevolmente ignorati?

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