Finalmente loro, la parte restante della Catalogna che non vuole separarsi. Per settimane è rimasta in silenzio, preoccupata e spaventata. Soltanto negli ultimi giorni, con la controffensiva dell'esecutivo di Mariano Rajoy per vincere la sfida di Puigdemont, i catalani - che si sentono anche spagnoli - , sono scesi in strada per alzare la voce e difendere le loro vite dalla cattiva gestione di quei politici che li hanno spinti alla rottura con il resto del Paese e a drammatiche conseguenze economiche e sociali.
Domenica i catalani rinvigoriti dall'art. 155 si sono ripresi la capitale con una grande manifestazione di oltre un milione di persone secondo la Societat Civil Catalana, l'associazione di unionisti che difende l'unità della Spagna. Al grido di «Todos somos Cataluña!», tutti siamo Catalogna, hanno invaso il centro della città con migliaia di bandiere spagnole col vessillo dei reali Borboni.
Una manifestazione pacifica, con qualche spintone e battibecco soltanto davanti al Palau gotico-liberty della Generalitat, dai cui tetti è assente da giovedì la bandiera spagnola ammainata nel giorno della «Costituente Repubblica di Catalogna». Alle dimostrazioni la presenza dei partiti Ciudadanos, gli Indignados di destra, il Partido Popular di Catalogna e i Socialisti catalani. Nei cortei si sono visti alcuni rappresentanti della classe politica precedente alla disastrosa gestione del tripartito secessionista di Puigdemont e Junqueras. In prima linea anche ex ministri di Madrid, come il socialista Josep Borrell, mentre l'ex ministro degli Esteri popolare Josep Piqué si è collegato in videoconferenza in serata, alla chiusura della manifestazione. Paco Frutos, ex segretario generale Pce, i comunisti spagnoli, ha così parlato dal palco di Plaza Catalunya: «Permettetemi di usare il linguaggio dell'avversario che avete sentito molte volte in questi giorni. Io sono un filippista borbonico (termine dispregiativo che i catalani usano contro la Casa Reale, ndr). Uno che ha deciso di tradire la secessione, lottando contro quel movimento di razzisti che hanno creato», riferendosi agli indipendentisti. «I filippisti borbonici, invece, siete proprio voi che aggredite chi non la pensa come voi che vi credete portatori di libertà». Poi, l'ex ministro Borell si è rivolto all'ex vice president Junqueras: «Sono qui perché la nostra dignità ci dice che possiamo dare il nostro voto a chi vogliamo, non di certo a lei che, invece, è soltanto un totalitarista». Ovazione della folla, poi ha aggiunto: «Non andremo alle urne come sciacalli che si mangiano i cadaveri, ma come cittadini che sanno che dal loro voto dipende il destino del loro Paese». E ricordando gli effetti negativi che lo strappo con Madrid avrebbe potuto produrre: «Se ci fosse stata la secessione della Catalogna, molti di voi che siete qui in piazza a manifestare, avreste potuto perdere il lavoro, ma questo non succederà grazie all'articolo 155 della Costituzione».
Albert Rivera, leader catalano di Ciudadanos che per primo aveva fatto pressioni al Parlamento di Madrid per votare l'art. 155 e ripristinare immediatamente la legalità in Catalogna, ha assicurato che sono «loro» i catalani che sono pronti a difendere la democrazia, l'unità e la convivenza pacifica con la Spagna e l'Europa: «Non solo scendiamo in strada, ma andremo in massa il 21 dicembre a votare e a vincere», ha urlato Rivera, molto acclamato.
Intanto, secondo un sondaggio de El Mundo se si votasse oggi in Catalogna, i partiti indipendentisti perderebbero molto consenso.
La falange secessionista, autrice dello strappo con Madrid e dell'autodeterminazione illegale, perderebbe tre seggi, andando così sotto i sessantacinque e perdendo la maggioranza detenuta fino alla destituzione. E la secessione subirebbe anche il colpo letale dell'assenza degli indipendentisti della Cup, che ora appoggiano con dieci scranni Puigdemont, e che il 21 dicembre non si candideranno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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