L'Anm va all-in contro la riforma, senza neanche vedere le carte. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio in conferenza stampa si sforza di dire che il testo finale del provvedimento licenziato ieri da Palazzo Chigi «è stato limato fino a pochi minuti fa», quindi appena prima della conferenza stampa. Auspicio vano, visto che il riflesso pavloviano del presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia scatta prima che il Guardasigilli parli: «È un errore, un forte passo indietro rispetto all'effettiva autonomia e indipendenza della magistratura», sibila, dovendo però ammettere che parla su quello che «abbiamo letto sui giornali e ha detto il ministro settimane fa».
Lo spauracchio dello sciopero delle toghe («Vedremo, a priori non posso escludere nulla», fa sapere Santalucia) rimbomba in Parlamento e nei palazzi come una miccetta. E quando il testo inizia a circolare tornano le bordate: «C'è una volontà punitiva nei confronti della magistratura che la politica vuol controllare, è una sconfitta per la giustizia. Ci sono molteplici aspetti allarmanti, il Csm viene svilito», è la nota della Giunta esecutiva centrale dell'Anm, che si vedrà «con urgenza» il 15 giugno. Adelante con juicio, direbbe Alessandro Manzoni.
«Non vogliamo solo battere i piedi», sottolinea Santalucia, proprio quando è il centrodestra a battere le mani (Forza Italia in testa) per la sterzata garantista impressa dall'esecutivo a pochi giorni dalle Europee. Ma a differenza del passato, è lo stesso Guardasigilli a ricordare ai magistrati pasdaran che la riforma è frutto della volontà popolare ed è parte del programma di governo. Sul no al doppio Csm e all'Alta corte la magistratura è compatta, anche se con sfumature diverse. Il timore del centrodestra è che - visti gli scandali del passato, vedi le trame di Luca Palamara nel precedente (e tragicomico) Csm - i pm possano condizionare le carriere dei giudici, anche attraverso una stampa asservita e compiacente. Se è pacifico che Area, Md e Unicost non vogliano perdere il loro potere, e lo si è visto dalle alleanze siglate al Csm su alcune nomine chiave, a Magistratura indipendente tocca il gravoso compito di trattare con loro ma anche con il centrodestra, dentro e fuori Palazzo Bachelet. «È l'eterogenesi dei fini. Un Csm di soli pm darebbe loro ancora più potere. Verrebbero premiati inquirenti come Fabio De Pasquale che ha tentato di di ricusare un giudice sgradito come Marco Tremolada, con una pervicacia che gli è costata la nomina ad aggiunto», ci spiega un ascoltatissimo esponente di Mi. Il sorteggio temperato non convince nessuno se non gli eretici della corrente 101 (quella dell'ex gip milanese Clementina Forleo), il rischio è che gli equilibri interni al corpaccione della magistratura non trovino corrispondenza. «Meglio estendere agli avvocati la facoltà di nomina a giudici nelle Corti di merito. Unire, non dividere», dice una fonte.
«Il governo usa toni trionfalistici per una riforma che stravolgere l'attuale assetto costituzionale, spazzando via l'indipendenza dell'ordine giudiziario», è il pensiero di Rocco Maruotti, esponente di AreaDg e membro del Direttivo Anm, senza timore di scadere nel ridicolo quando sentenzia che il doppio Csm e l'Alta corte avranno l'effetto finale «di non garantire l'uguaglianza davanti alla legge», come se oggi fosse così. Se il timore di Area è «l'introduzione del concetto di carriera, che allude ad una magistratura gerarchizzata e non distinta solo per funzioni, come vuole l'articolo 107, comma 3 della Costituzione», Maruotti si è svegliato un po' tardi.
Perché la gerarchizzazione degli uffici è iniziata con la riforma di Roberto Castelli, proseguita con quella di Marta Cartabia e confermata per tabulas da alcune recenti (e discutibili) decisioni della Disciplinare del Csm che hanno intrappolato l'autonomia dei sostituti. Senza che le correnti di sinistra fiatassero.
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