Fine delle trasmissioni. Dal buio della guerra al silenzio dell'informazione. La Russia si chiude sempre più nello scafandro dell'autocrazia e le voci senza guinzaglio scompaiono dal telecomando. Il regime spegne Facebook e Twitter e se ne vanno gli inviati delle grandi tv: la Bbc, le emittenti tedesche, ora anche la Rai. Proibitivo lavorare in un contesto così ostile, con la nuova legge approvata a tempo record che promette fino a 15 anni di carcere a chi spaccia sul conflitto in corso quelle che per il Cremlino sono fake news. L'unico modo per garantire libertà e sicurezza è sbaraccare. Anche per rispettare i lutti e le sofferenze che non si possono più raccontare.
Il capo dell'ufficio moscovita Marc Innaro, al centro di polemiche per i reportage filorussi, dà una contabilità amara: «L'ufficio chiude i battenti. Siamo sei giornalisti: i corrispondenti, il sottoscritto e Sergio Paini, possono rimanere, gli altri rientrano a casa. Ma da oggi siamo tutti in ferie». L'involuzione della Russia si tocca con mano: si congedano i marchi del lusso globale, da Vuitton a Chanel, si sottrae ai cittadini quello strumento di democrazia prêt-à-porter che è internet, si mette il più classico e scontato dei bavagli sulle prime pagine e sugli schermi. Forse non avevamo afferrato, forse eravamo impreparati a capire, eravamo convinti che certi standard sarebbero stati mantenuti.
Ma è peggio. Molto peggio. L'invasione dell'Ucraina ha alzato il sipario su una realtà molto più cupa e lontana dai nostri parametri. Ora, purtroppo, è tutto più chiaro. Ogni anno abbiamo celebrato i martiri del giornalismo in tanti Paesi difficili, e qualche orribile eliminazione c'è stata pure nell'era putiniana, ma ora a essere soffocato è il giornalismo indipendente che poi, senza retorica, è quello non asservito come uno scendiletto al padrone. I fogli che sopravvivevano nell'intercapedine della democrazia nata sulle ceneri del comunismo, slittano verso la clandestinità o notiziari incolori e la mitica Bbc riscopre la radio e le onde corte, come ai tempi drammatici di Stalin.
I microfoni ridotti a televendere le notizie ufficiali e solo quelle vanno a braccetto con gli assalti feroci a Kiev, la propaganda più sfacciata e arrogante, l'occupazione di un Paese camuffata come la liberazione non si capisce bene da cosa. È la realtà capovolta: il format servito per decenni dall'Unione Sovietica e dai suoi satelliti. La marcia in avanti dei soldati è una corsa indietro nel tempo più oscuro delle bugie senza fondo.
Dovrebbe rientrare a Roma anche l'inviato del Tg5 e annuncia il black out da Mosca anche l'Ansa che continuerà a coprire gli avvenimenti dalle altre sedi sparse nel mondo democratico. Taccuini e telecamere in valigia. La versione di Putin sarà all'apparenza più facile, tutta bollettini e patriottismo, la distanza dai criteri minimi della decenza più grande.
Ci auguriamo di entrare in una parentesi, una bolla che prima o poi scoppierà, ma forse sarebbe più corretto riconoscere l'evidenza: siamo sprofondati all'improvviso nell'inverno russo che si era già fatto avanti minaccioso, in Crimea, contro i reporter coraggiosi e in tante altre situazioni. L'avevamo ignorato, forse per ingenuità o per non complicarci la vita, ora invece le grandi tv sono costrette ad ammettere che non si può andare avanti. Mosca vorrebbe una recita, meglio allora annullare lo spettacolo.
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