Ha dato un passaggio agli esecutori, ha offerto una base logistica, ha condiviso il «progetto stragista»: Gilberto Cavallini, dicono ieri i pm bolognesi, era il complice di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, e come loro deve essere condannato all'ergastolo per la strage di Bologna, 2 agosto 1980. Una requisitoria che arriva al termine di 43 udienze, applaudita dai familiari delle vittime, che ora chiedono si passi alla ricerca dei mandanti. Ma la requisitoria non fa i conti con le ombre - che il processo non ha dissipato - sulla ricostruzione di quella che resta la più inspiegabile e inspiegata delle stragi italiane.
Che Cavallini facesse parte dell'ultradestra dei Nar insieme a Mambro e Fioravanti (e a Luigi Ciavardini, che essendo minorenne all'epoca se l'è cavata con la condanna a trent'anni) è un dato di fatto. Mondo non monolitico e anzi magmatico, fatto di diffidenze che si trascinano ancora oggi: ma che nei giorni prima della strage quattro fossero insieme è sicuro. E questo, per i pm, incastra anche Cavallini. Gli altri sono colpevoli, quindi è colpevole anche lui.
Nella loro requisitoria, a dire il vero, gli stessi pm hanno ammesso onestamente che nel processo non è emerso nulla di nuovo rispetto agli indizi che diciannove anni fa avevano portato a indagare una prima volta Cavallini, e che poi i pm dell'epoca avevano ritenuto insussistenti. I nuovi testi che dovevano essere sentiti sono quasi tutti morti nel frattempo, come è inevitabile in un processo celebrato a quarant'anni dai fatti. Ma per i pm gli estremi per la condanna ci sono comunque: «Il proscioglimento di Cavallini fu un errore - dicono a giudici e giurati - e voi lo dovete correggere».
Il problema è che in realtà qualcosa in aula è accaduto: sono arrivate le nuove perizie, figlie di metodi assai più avanzati. Quella sugli esplosivi, che si è imbattuta in un interruttore da tergicristallo, «che lì non aveva ragion d'essere»: per i periti poteva essere connesso all'esplosivo per impedirne lo scoppio, e il suo malfunzionamento avrebbe causato la strage non voluta: ed è un elemento che porta verso la «pista alternativa» seguita invano in passato, la strada di un trasporto di esplosivo curato dalla resistenza palestinese con l'appoggio di estremisti tedeschi, cara all'ex presidente Cossiga. E ancora più degli esplosivi ha parlato la perizia sul Dna: «Abbiamo la certezza - dice Gabriele Bordoni, difensore di Cavallini - che alla stazione ci fu una ottantaseiesima vittima». Un morto che nessuno ha mai trovato nè reclamato. «Ma i corpi - dice Bordoni - non si volatilizzano».
Il morto in più, quello il cui nome non compare nella grande lapide davanti alla stazione, era il corriere dell'esplosivo? E chi si preoccupò di farne sparire quanto restava? Domande che circolano da anni, e che il processo ha rafforzato.
Potrebbero bastare a instillare nei giurati il ragionevole dubbio, e ad assolvere Cavallini. Ma a quel punto sarebbero Mambro, Fioravanti e Ciavardini a chiedere un nuovo processo, capovolgendo il teorema della Procura: se è innocente lui, lo siamo anche noi. Ma a Bologna ci sarebbe una insurrezione popolare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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