La bomba Russiagate: Trump inguaia Renzi e fa da scudo al premier

I sospetti di Donald su Obama e sul governo italiano guidato da Matteo. Il ruolo di Minniti

La bomba Russiagate: Trump inguaia Renzi e fa da scudo al premier

A una manciata di giorni dalla audizione del premier Giuseppe Conte davanti al Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti, prevista per mercoledì prossimo, il lato italiano dello scandalo Russiagate si arricchisce di nuovi elementi che vanno tutti a favore del presidente del Consiglio, e rischiano di creare più di un grattacapo al suo alleato-rivale Matteo Renzi. A fornirli, tanto esplicitamente quanto irritualmente, è stato l'altro ieri Donald Trump, a margine dell'incontro alla Casa Bianca con Sergio Mattarella, parlando esplicitamente di episodi di «corruzione» in Italia da parte dell'amministrazione Obama, per aiutare a costruire il complotto contro di lui.

La gravità delle dichiarazioni di Trump su questo fronte si è un po' diluita nel tema cruciale dell'incontro con Mattarella, ovvero i dazi Usa sui prodotti italiani. Ma nel mondo della nostra intelligence le parole del presidente americano hanno creato grande attenzione. A partire da quella apparentemente più generica: «I rapporti con l'Italia - ha detto the Donald - non sono mai stati così buoni». Una conferma dell'asse preferenziale che Conte è riuscito a creare con la Casa Bianca, e che garantisce al nostro premier che da oltre Atlantico non arriverà mai nulla di svantaggioso per lui. Gli incontri dell'estate scorsa dei nostri 007 con l'inviato di Trump, il general attorney William Barr, verranno definitivamente catalogati come normali scambi di informazioni tra alleati. E a uscirne a pezzi rischiano di essere invece i protagonisti degli accordi sottobanco di tre anni fa, quando i servizi del governo Renzi, gestiti da Marco Minniti, avrebbero avuto parte attiva nelle trame anti-Trump.

«Non conosco i dettagli e non so esattamente di quegli incontri - ha detto Trump - ma si è cercato di nascondere ciò che si stava facendo in alcuni paesi, tra questi potrebbe esserci l'Italia». Il rapporto finale di Barr, ha aggiunto Trump, sta per essere pubblicato. E lì dentro ci sarà tutto. Soprattutto riguardo al ruolo di «agente provocatore» al soldo della Cia di Obama che avrebbe giocato il professore maltese Joseph Mifsud, di stanza a Roma e in servizio all'università Link Campus, oggi sparito nel nulla. Mifsud sarebbe stato aiutato a allestire la trappola da uomini della nostra intelligence. «Non conosco il rapporto - ha detto ancora un lanciatissimo Trump - ma credo che si scoprirà molta corruzione».

Ovviamente i capi nel 2016 dei nostri servizi non intendono restare col cerino in mano: se qualcosa è stato fatto per aiutare gli americani, c'era il via libera del governo. Conte sarebbe già in possesso di carte a sostegno di questa versione, anche se non è detto che le porti in Copasir, perché drammatizzerebbero in modo forse irreversibile la tensione con Renzi. Ma l'importante è che queste carte esistano.

Ed importante è anche la notizia anticipata da Repubblica secondo cui gli americani avrebbero in mano i cellulari dello scomparso Mifsud (i nostri servizi negano di essere stati loro a consegnarli): lì dentro la rete dei contatti dell'ambiguo professore con politici e «barbe finte» c'è tutta.

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