Bonn, la città che sparì insieme al Muro di Berlino

Nel 1991 Parlamento e ministeri tornarono a Berlino. Anche se dimenticata da tutti, l'ex capitale ha saputo mantenere un ruolo importante. E ora gode

Bonn, la città che sparì  insieme al Muro di Berlino

Sotto il Muro di Berlino stava crollando Bonn. Perché uno non si ferma mai a riflettere sulle conseguenze secondarie della storia. Ecco, questa è una: da centro a periferia in un momento, da simbolo a fantasma in un istante. Una capitale sepolta. Dimenticata dall'opinione pubblica prima che dalle leggi che due anni dopo l'avrebbero declassata. Perché il mondo fino all'8 novembre 1989 si collegava da lì: siamo in linea con Bonn, cioè con la libertà, con la democrazia, con l'Occidente. Poi silenzio. Berlino, Berlino, Berlino. Non c'era partita, ovvio.

Bonn è scomparsa nel nostro immaginario. Finita, nonostante ci sia ancora e conti ancora. L'abbiamo seppellita. Sui mappamondi era tutta in maiuscolo e con due linee sotto. Era il segno del prestigio, dell'importanza, della centralità. Capitale di un Paese al centro del pianeta. La Germania era quella, per noi. Berlino cattiva, Bonn buona. Senza che nessuno l'avesse mai vista, perché, insomma, a Bonn o eri un politico o una spia o non è che ci capitavi. Durante la Guerra Fredda il mondo aveva persino dimenticato che fosse la città di Beethoven. Era la capitale della Repubblica Federale Tedesca, punto. Nobile nello status, triste nell'immaginazione della gente comune. Lo scrittore britannico John Le Carré ne parlava così: «Lì anche le mosche sono funzionari statali». Vi ambientò una delle sue spy story, la chiamò Una piccola città in Germania . Titolo e battuta sulla burocrazia danno il senso di ciò che Bonn trasmetteva. Piccola era piccola: poco più di 300mila abitanti ne facevano una microcapitale di un grande Paese. Grigia era grigia, pure.

Era strategica, però. Era fondamentale. Non c'è un solo uomo del Novecento che non le attribuisca un valore morale decisamente superiore alla sua grandezza geografica o al numero dei suoi abitanti. Bonn era la fortezza delle coscienze: occidentale, filoamericana, anticomunista. Fu fatta capitale per caso tra il 1948 e il 1949, prima che il Muro fosse costruito, fu rasa al suolo metaforicamente la sera del 9 novembre di 25 anni fa. Good bye Lenin a Est e Good bye Bonn a Ovest: in una sera, una sola, 147 corrispondenti di tutte le testate mondiali si trasferirono a Berlino e praticamente non la rividero più. Era cambiato il simbolo, d'altronde. Bonn c'era senza esserci più. Formalmente ha smesso di essere capitale il 20 giugno del 1991. Il Parlamento votò l' Hauptstadtbeschluss , ovvero la decisione sulla capitale: 10 ore di dibattito e un voto complicato finito con 338 favorevoli e 320 contrari stabilì che Bundesrat e Cancelleria traslocavano a Berlino, nonostante il suo doppio passato complicato. Una grande fetta dell'opinione pubblica si chiedeva se fosse giusto: Berlino era stata il simbolo del nazionalsocialismo e quindi della guerra e quindi del tracollo. Il quotidiano Die Welt parlò di rischio di neo- Wilhelmismo , ovvero del ritorno al centralismo anti-federale dell'ultimo imperatore Guglielmo II. Berlino vinse lo stesso. Troppo forte il messaggio di una nuova era unificata nella città emblema della divisione. E, soprattutto, troppo debole Bonn.

Tre anni dopo, un altro voto e un'altra legge: il Berlin-Bonn act stabiliva che i 14 ministeri avrebbero avuto sedi in entrambe le città, ma che le posizioni più rilevanti dei 6 più importanti sarebbero state a Berlino. A Bonn restavano invece 22 agenzie federali. Apparato, burocrazia, Stato: Bonn veniva svuotata, ma tenuta in piedi dalla politica. Come risarcimento arrivarono l'equivalente di un miliardo e 430 milioni di euro.

Sarebbero serviti, e parecchio. Perché oggi Bonn c'è. Dimenticata dal mondo, ma non dalla Germania. Ha perso la centralità che aveva, guadagnando libertà. Provincia di un impero che si fa altrove e che qui prospera comunque. La disoccupazione è al minimo della Federazione, l'immigrazione è solo qualificata (nell'area urbana sono censite 170 nazionalità diverse), il reddito medio è tra i più alti del Paese. Quei soldi ottenuti nel '91 li ha usati per riqualificarsi, per usare la sua storia e la sua marginalità a proprio vantaggio. Secondo i calcoli fatti dalla rivista Monocle , senza che il resto del pianeta lo sappia, settemila dei 18mila dipendenti ministeriali tedeschi vivono e lavorano a Bonn. Perché non è più capitale federale, ma città federale.

Venticinque anni dopo la caduta del Comunismo e della riunificazione de facto , le capitali restano due, una ufficiale, l'altra no. Spreco soltanto apparente, spiegano qui. «A garantire questa divisione di competenze oggi c'è una legge, ma molti parlamentari, soprattutto della Germania dell'Est, vorrebbero cambiarla», dicono al Comune. Complicato, però, visto che le motivazioni politiche trovano un ostacolo gigantesco quando si parla di spese: la vita da separati in casa costa circa 10 milioni di euro all'anno, tra spostamenti di uomini, donne e documenti. La Germania se l'è chiesto e se lo chiede ancora: perché far viaggiare 750 tonnellate di file e faldoni ogni anno da una città all'altra? La risposta è la più semplice possibile. Perché costa meno. Per traslocare tutte le attività governative a Berlino si dovrebbero spendere cinque miliardi. Che si sommano ai 10 già spesi tra il 1994 e il 1999 per fare lo spostamento dei dipendenti dei ministeri. Quindi Bonn gode. Gode nell'essere stata sconfitta senza aver perso. Gode perché dal 1991 quasi cento nuove aziende si sono trasferite nell'ex quartiere governativo. L'hanno cambiato, ristrutturato, ammodernato. L'hanno riorganizzato. Quasi che il senso di colpa per aver tolto alla città il suo pezzo di gloria le garantisca un salvacondotto per il futuro. Così l'Onu ha aperto il suo Campus europeo: 13 organizzazioni e 550 dipendenti si sono trasferiti in città insieme a 150 organizzazioni non governative. Alcuni segretariati erano già presenti dal 1951, ma adesso a Bonn esiste una cittadella ufficiale delle Nazioni Unite. È un grattacielo squadrato che in passato fu la sede dei parlamentari. Nei suoi corridoi il Cancelliere Willy Brandt scoprì che il suo assistente personale, Günter Guillaume, era un infiltrato del capo delle spie della Ddr, Markus Wolf. Quel palazzo era l'emblema di Bonn capitale. Lo chiamano Langer Eugen, «il lungo Eugen», in onore di Eugen Gerstenmaier, presidente del Parlamento tedesco che lo inaugurò nel 1968. Adesso è il condominio di burocrati chic, multilingue e multirazza che si sono trasferiti qui. Perché la politica gratifica e risarcisce sempre, anche in quei Paesi che fanno di tutto per apparire diversi. La politica ha garantito paradossalmente anche per il privato. Così sotto la polvere lasciata dal crollo del Muro qui si sono insediate tutte le aziende delle telecomunicazioni: proprio a Bonn e proprio nell'ex quartiere governativo che avrebbe dovuto morire si sono trasferiti gli uffici principali Deutsche Telekom e Deutsche Post, poi Dhl, poi un sacco di altri. L'ironia di John Le Carré non funziona più, molto più efficace ribaltare un altro vecchio luogo comune del Novecento: «La sua unica qualità è quella di trovarsi a quattro ore da Parigi». Ecco, l'unica qualità è diventata la miglior qualità. Perché 25 anni dopo Bonn è stata seppellita e riscoperta. Berlino gioca con il mondo, Bonn gioca con se stessa.

Cancellata dall'attualità, dal dibattito, dai palinsesti. Meglio per lei: ci sono 19mila voli all'anno Bonn-Berlino, 44 minuti tra decollo e atterraggio. Lo spazio e il tempo della storia finita e ricominciata. E il passato è sempre molto più scomodo del futuro.

(4. Continua)

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