Alla fine Luiz Inácio Lula da Silva ha vinto, anche se di strettissima misura ed il Brasile svolta di nuovo a sinistra. Una lotta voto a voto, con il presidente uscente Jair Messias Bolsonaro, partito in testa fino allo scrutinio dei due terzi dei voti e poi, quando a San Paolo erano le 18.45 della sera, il boato di Jardim Paulista, quartiere chic della capitale finanziaria dell'America Latina, con i cori, vecchi di vent'anni di «Olé olé olé olá, Lulaaa, Lulaaa». Mentre andiamo in stampa, con il 91% dei voti scrutinati, Lula è avanti di appena un milione e 200mila voti, un'inezia se si considerano i 156 milioni di brasiliani che ieri erano attesi alle urne.
Alla fine, secondo le stime, Lula arriverà ad un vantaggio di poco meno di due milioni di voti, ovvero il 51% dei voti, contro il 49% del presidente uscente. Mai successo che ci fosse un divario così piccolo tra due candidati in Brasile così come è inedito che mai nella storia del paese del samba chi vince nel Minas Gerais, il secondo collegio elettorale più importante, e Bolsonaro lo ha fatto, non riuscisse ad occupare il Palacio do Planalto. Pur avendo vinto di largo margine anche a San Paolo e Rio de Janeiro, con il suo candidato Tarcisio neo governatore paulista, per la vittoria di Lula è stato decisivo il Nordest, soprattutto lo stato di Bahia, il quarto maggior collegio elettorale, dove l'ex difensore del terrorista Cesare Battisti ha letteralmente sbancato.
Come un'araba fenice Lula risorge come Lazzaro da una condanna a 12 anni per corruzione e riciclaggio confermata in tre gradi di giudizio, più un'altra a 13 anni ribadita in appello, da 580 giorni di carcere e dal disprezzo di metà del popolo brasiliano che nel 2018 aveva tentato un cambiamento eleggendo un capitano dell'esercito dal curriculum non proprio esaltante come Bolsonaro.
Tra gli elettori delusi il simbolo della Seleção che tenterà di conquistare il suo sesto titolo ai Mondiali in Qatar, ovvero Neymar, supporter di Bolsonaro che ieri, prima di digitare il codice 22 del «Mito» nell'urna elettronica, ha detto sul suo Instagram, accompagnando il post con una sua foto mentre stringe nelle mani la bandiera brasiliana, «sia fatta la volontà di Dio».
Dio ha scelto Lula e, come celebrava ieri a San Paolo l'ex premier spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero, adesso «lui pronto per rimettere in sesto l'ordine mondiale in frantumi», anche se è tornato grazie ad un assegno in bianco che il popolo brasiliano gli ha firmato. Durante la sua campagna elettorale, infatti, il prossimo 39mo presidente del Brasile che si insedierà il primo gennaio 2022, non ha presentato alcun piano di governo economico né ha detto chi metterà a guidare l'unica economia delle Americhe che in questo periodo sta «tirando» e con omicidi diminuiti del 30% rispetto al 2018. Già perché checché ne dicano in Italia media, Partito Democratico e grillini, in Brasile la disoccupazione è scesa a settembre per la prima volta dopo 7 anni sotto il 9%, l'inflazione a fine 2022 si attesterà sotto il 6%, secondo tutte le agenzie compresa la Banca Centrale, ovvero la metà di quella italiana e meno della statunitense mentre la previsione di crescita del PIL quest'anno è attorno al 3%.
Vedremo se Lula riuscirà a salvare l'Amazzonia, come assicurato da Nature e se con lui l'armonia verde-oro sarà finalmente ritrovata dopo l'odio diffuso dall'«anti democratico» Bolsonaro.
Per assicurarsi che così sia, il presidente statunitense Joe Biden ieri ha mandato il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan con il compito di «fare pressione sui funzionari del governo Bolsonaro per una transizione di potere normale».
Tra i favoriti per il ministro dell'Economia Aloízio Mercadante, «un soldato di Zé Dirceu», già ex ministro filo-cubano di Lula, condannato a 27 anni di carcere per corruzione passiva e riciclaggio. Condanna confermata lo scorso aprile ma, come è noto, in Brasile importa poco.
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