Borse a picco, fiducia delle Pmi ai minimi e rivolta delle imprese che si estende anche alla grande industria. Il prezzo dei ritardi e dei fallimenti del governo nell'affrontare il lato economico del lockdown comincia a delinearsi.
A suonare la carica è il neo presidente di Confindustria: «Abbiamo reddito di emergenza, reddito di cittadinanza, cassa ordinaria, straordinaria, in deroga, Naspi, Discoll e potrei continuare -ha detto al Corriere Carlo Bonomi-. La risposta del governo alla crisi si esaurisce in una distribuzione di danaro a pioggia. Danaro che non avevamo, si badi bene, si tratta di soldi presi a prestito. Possiamo andare avanti così un mese, due, tre. Ma quando i soldi saranno finti senza nel frattempo aver fatto un solo investimento nella ripresa del sistema produttivo, allora la situazione sarà drammatica».
Un j'accuse diretto al cuore stesso della politica governativa fatta solo di lockdown e sussidi a pioggia. «Stabiliamo pure che le imprese non debbano licenziare -incalza Bonomi-. Ma non si salvano per legge le aziende dal fallimento. Se questa è la rotta del governo, l'approdo non può essere che uno: l'esplosione di una vera e propria emergenza sociale già a settembre-ottobre».
Un no secco all'assistenzialismo e alla tentazione giallorossa di risolvere tutto con più Stato nell'economia che si aggiunge alle proteste trasversali alle categorie produttive per l'approccio burocratico, il mantenimento di una pressione fiscale che ora diventa insostenibile. «Paghiamo una diffidenza verso l'impresa che ha finito a portare a una assurda contrapposizione tra salute ed economia», commenta il giuslavorista Michele Tiraboschi.
La voce di Bonomi non è certo isolata. Ieri Confesercenti ha lanciato il suo grido d'allarme per la Fase 2 al rallentatore che vedrà ferme ancora per settimane un milione di aziende del comparto in virtù di regole incomprensibili: si può andare dai nonni ma non uno alla volta in bar disinfettati a prendere un caffè seduti in tavoli all'aperto.
«Se non si decide a operare in deroga, - avvisa Paolo Agnelli, presidente di Confimi Industria - eliminando ogni sorta di ostacolo al lavoro e alle attività produttive non ci sarà ripartenza. Se ci si ostinerà a non guardare in faccia il pericolo che sta vivendo il sistema economico, passeremo da una fase di emergenza a una di collasso». Agnelli, tra l'altro, fa notare un altro clamoroso buco nell'azione del governo: «Lunedì riparte il manifatturiero e non sappiamo se ci sono le mascherine per tutti e a che prezzo -denuncia- nessuno ha ancora informato le aziende se quel prezzo (i 50 centesimi fissati dal commissario Arcuri) è destinato anche al mercato business». Anche da Confapi cartellino rosso alla «statalizzazione» delle imprese. «È giusto che lo Stato investa nell'industria ma in termini liberali -dice Maurizio Casasco - noi proponiamo che laddove l'utile 2019 sia investito in capitale e in macchinari, innovazione, ricerca venga defiscalizzato al 100%».
Di fronte all'attacco delle imprese, la maggioranza non fa quadrato intorno a Conte, specie sul lato 5 Stelle. Solo il vice segretario Pd Andrea Orlando che contrattacca banalizzando: «Se l'obbiettivo è quello di aumentare i contributi a fondo perduto, che peraltro già ci sono, penso sia meglio tralasciare i massimi sistemi e dirlo chiaramente».
Difficile però ignorare il quadro fosco dell'economia. Ieri le Borse europee hanno bruciato 190 miliardi, 18 solo a Piazza Affari, scivolata a quota -3,7%.
Pesano gli umori neri di Wall Street e le tensioni Usa-Cina, ma anche la frenata record dell'indice Pmi, che misura lo stato di salute del manifatturiero, sceso dai 40 punti di marzo ai 31,1 di aprile, dato peggiore da 22 anni, crisi del 2008 inclusa. Il calo dello spread da 240 a 231 non allevia il quadro, perché è figlio dello scudo Bce che acquista Btp per 10,9 miliardi.
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