Bossetti, di nuovo ergastolo. "È lui l'assassino di Yara"

Dopo 15 ore di camera di consiglio confermata la condanna. Ma giudici e giurati forse si sono divisi...

Bossetti, di nuovo ergastolo. "È lui l'assassino di Yara"

Le speranze di Massimo Bossetti svaniscono in una manciata di secondi dopo una camera di consiglio che sembrava non finisse mai. Ormai conosce la legge i suoi riti, le sue formule: ha imparato a conoscerli in questi anni in cui dal mestiere di carpentiere è passato a quello di imputato. Imputato per uno dei delitti più crudi dei nostri anni recenti, uno dei più impressi nella coscienza della gente. Bossetti conosce le formule della legge. E quando il giudice Enrico Fischetti inizia a leggere la sentenza, capisce che è finita. Anche per la Corte d'appello, è lui l'assassino di Yara Gambirasio.

É passata da poco la mezzanotte e mezza quando tutto finisce. I giudici e la giuria popolare sono in camera di consiglio dalle dieci del mattino, quando il processo di appello si è chiuso come si era chiuso quello in primo grado, con le ultime parole dell'imputato.Anche ieri Bossetti punta su se stesso, sulla sua storia di persona normale, sui quarantaquattro anni senza ombre passati prima di essere arrestato con l'accusa di essere «Ignoto 1». Ma ieri, come un anno fa al primo processo, nulla di quanto dice Bossetti, nessuna delle tante anomalie che i suoi avvocati hanno evocato nelle arringhe, e nemmeno la paura di distruggere un innocente fanno breccia nelle coscienze dei giudici e dei giurati. Le porte del carcere si chiudono alle spalle dell'imputato.

Era prevedibile? Sì, lo era: anche se la durata della camera di consiglio racconta di una decisione sofferta e drammaticamente contrastata. Alla Corte d'assise d'appello era chiesto un atto di fiducia nella scienza, e questo atto alla fine è venuto. «Di solito - aveva detto il procuratore generale Marco Martana nella sua requisitoria - ci si deve accontentare di risultai più modesti, a volte è possibile che il Dna di una persona lo abbia anche un'altra su cinque miliardi. Qui questa possibilità non c'è». La certezza che sui leggins e gli slip di Yara Gambirasio ci fossero le tracce biologiche di Bossetti tende all'infinito: 99 virgola nove periodico. E i tanti dubbi sul modo in cui il campione è stato analizzato, sugli esperimenti che lo hanno distrutto per sempre, impedendo la possibilità di un nuovo esame, non scalfiscono questa certezza.

Altro non c'era: ma questa certezza è bastata a condannare Bossetti. Oltre quattordici ore di attesa significano che nel chiuso della camera di consiglio qualcuno ha provato a sollevare dubbi, a chiedere quante volte la scienza si è sbagliata, a ricordare come anche l'accusa abbia ammesso che a volte i responsi del Dna ingannano: ma è stato messo in minoranza. É possibile che a premere per una assoluzione o almeno per una nuova perizia fosse uno dei giudici popolari, i cittadini qualunque chiamati a un ruolo di terribile delicatezza, e che spesso si adeguano alle indicazioni dei magistrati: ma che a volte invece prendono una strada diversa. Se qualcuno dei giurati ha avanzato dubbi è toccato al presidente della Corte, Fischetti, spiegargli che per arrivare a una sentenza di colpevolezza basta la certezza della prova scientifica. Non serve un movente, non servono testimoni oculari. Non serve capire cosa accadde in quei cinquecento metri che separano la palestra di Brembate, dove secondo l'accusa Bossetti offre un passaggio alla ragazzina, dalla casa dei Gambirasio, dove Yara non arriva mai. E chissà se davvero le cose andarono come ipotizza l'accusa, «una frase o un gesto sbagliati» che scatena la reazione di Yara. Chissà se davvero Bossetti si taglia la mano mentre la colpisce, e se è il suo sangue a restare sugli abiti di Yara.

L'unica cosa che conta è che - sangue, saliva o chissà cos'altro - è il Dna di Bossetti quello che tre mesi dopo viene trovato sul corpo della piccola, seria ragazzina di Brembate. É quel Dna che ieri, a mezzanotte e mezza, fa dire ai giudici: «Colpevole»

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