Cambiano perché nulla cambi

lI presidente che pronuncia il discorso è lì solo perché il Csm lo ha precipitosamente, e con procedura mai vista prima, rimesso al suo posto dopo l'annullamento della sua nomina.

Cambiano perché nulla cambi

II presidente che pronuncia il discorso è lì solo perché il Csm lo ha precipitosamente, e con procedura mai vista prima, rimesso al suo posto dopo l'annullamento della sua nomina. Il procuratore generale che parla dopo di lui ha potuto evitare il procedimento disciplinare solo perché lui stesso ha stabilito che i magistrati che si «autopromuovevano» parlando con Luca Palamara non facevano niente di male: altrimenti avrebbe dovuto incriminare anche se stesso. Il vicepresidente del Csm che esterna poco dopo è diventato vicepresidente tramite gli accordi tra correnti e politica, e grazie all'intervento decisivo del solito Palamara. Vista così, la cerimonia inaugurale dell'anno giudiziario tenutasi ieri in Cassazione non ha riservato alcuna sorpresa: perché tali essendo gli intervenuti sarebbe stato impensabile che ne venissero espressioni autentiche di autocritica per lo stato desolante in cui è ridotta la giustizia italiana. Che infatti non sono venute. Hanno ammesso bontà loro che qualcosa non va per il verso giusto: ma è sempre colpa di qualcun altro, o dei soldi che non ci sono. La produttività d'altronde sta aumentando, anche se a questi ritmi per smaltire l'arretrato servirebbero vent'anni. E le riforme del Csm ben vengano, purché non riformino nulla: e si continuino a salvaguardare, come chiede Ermini, «il pluralismo» e la «discrezionalità» del Consiglio. Ovvero, tradotto dal gergo, le correnti e il loro potere di nominare ai posti chiave i nomi frutto delle spartizioni, come accaduto anche dopo le epurazioni di due anni fa. Ma se la nebbia che sembra continuare a avvolgere il palazzo delle toghe è in qualche modo scontata, a incombere sulla cerimonia di ieri è una sensazione cui non è facile rassegnarsi. E cioè che l'altro palazzo, quello della politica, nemmeno di fronte al disastro della giustizia italiana consideri doveroso affrontare il male alla radice. Sergio Mattarella, cui è toccato essere a capo dello Stato e quindi del Csm nel periodo peggiore della nostra giustizia, ha preteso giustamente le teste dei consiglieri incastrati per le trattative all'hotel Champagne: poi però è uscito di scena, lasciando che nel Consiglio superiore continuassero a sedere membri altrettanto compromessi, e tacendo quando gli è stato rivelato lo scandalo della loggia Ungheria.

Il ministro della giustizia Marta Cartabia ieri torna a definire «ineludibile» la riforma del Csm: la riforma che, come denuncia il presidente dei penalisti Gian Domenico Caiazza pochi giorni fa, il ministro sta scrivendo «a quattr'occhi con l'Associazione nazionale magistrati», il sindacato della Casta in toga, e senza affrontare nessuno dei nodi cruciali. E insomma non cambia mai nulla, e l'unico vero ammaestramento che la politica sembra aver tratto dalla storia recente è che, da Craxi a Renzi, «chi tocca i fili muore». E allora si lasciano le cose come stanno.

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