Quella di Matteo Salvini è stata una campagna elettorale faticosa, non solo perché il leader della Lega, a differenza degli altri, l'ha vissuta appieno, girando l'Italia in lungo e in largo, ma anche perché il «Capitano» è stato preso di mira dalla giustizia. L'ultima inchiesta, quella che ha portato all'arresto di Alberto Rubba, Andrea Manzoni e Michele Scillieri, commercialisti che ricoprivano rispettivamente i compiti di revisore contabile della Lega al Senato, alla Camera e titolare dello studio di Milano dove nel 2017 era domiciliata la sede di «Lega per Salvini premier», è stato l'ultimo di una serie di attacchi mirati al segretario del partito del Carroccio. Si è partiti con l'aggressione della congolese che a Pontassieve gli ha strappato la camicia e il rosario, si è proseguito con le offese scritte sui muri della sede della Lega di Voghera, per sfociare negli insulti e nel lancio di pomodori a Torre del Greco, dove Salvini si è trovato di fronte a centinaia di invasati dei centri sociali che hanno cercato di impedirgli il comizio elettorale, uno dei tanti che Matteo ha fatto in giro per lo Stivale, con una media di dodici al giorno, un record finora battuto da nessuno.
Se si mettono in fila, poi, le inchieste giudiziarie a carico delle Lega si arriva a una serie infinita di quelle che, tanto per dirla alla Palamara, sembrano vere e proprie persecuzioni giudiziarie. Ciò che sembra importare ai giudici che hanno preso di mira il partito del Carroccio è trovare «fondi neri», magagne, irregolarità. Si pensi al Russia gate, ai 49 milioni di rimborsi elettorali, ma anche alle indagini sull'operato di Salvini quando era ministro dell'Interno, con rinvii a giudizio per i casi Open Arms e Gregoretti. Insomma, per Matteo non sembra esserci tregua. Eppure lui sembra non essersi fatto scalfire e fino a oggi ha affrontato tutto con forza e col sorriso sulle labbra di sempre.
«Cercano soldi in Russia, Svizzera, San Marino, Lussemburo - ha detto -. Non troveranno niente perché non c'è niente. Sono tranquillo, ho fiducia nella magistratura. Mica sono tutti come Palamara...». Per lui chi attacca fomenta «un clima di odio» intorno a lui e alla Lega.
Ma forse è proprio quella la debolezza degli avversari, che hanno bisogno dei favori di certi giudizi e di inchieste giudiziarie per affondare un avversario che sanno essere sempre più forte. Il suo asso nella manica, Susanna Ceccardi, candidata alla presidenza della Regione Toscana, rischia davvero di scardinare un'egemonia politica della sinistra che nel Granducato dura da oltre settant'anni. E la cosa fa paura, molta paura. «Va attaccato», disse Palamara nelle note intercettazioni.
Forse era proprio questo che intendeva. Ma alle urne, a decidere, ci saranno gli italiani e quelli sarà difficile possano essere fermati dalla magistratura o dalle aggressioni di centri sociali e odiatori della domenica.
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