L'Europa ha un problema vaccini e una bella fetta del problema si chiama AstraZeneca. Secondo un'indagine del quotidiano britannico Guardian, quattro dosi su cinque consegnate dalla casa farmaceutica anglo-svedese in Europa restano inutilizzate in qualche frigorifero, solo il 20% è stata fino ad ora iniettata.
Il dato medio riguarda l'intera Ue, ma ci sono casi ancora più clamorosi come quello dell'Italia, dove secondo un'elaborazione del Sole 24 Ore su dati dell'Istituto Superiore di Sanità, fino all'altro giorno era stata utilizzata solo una dose su 10: 1 milione e 48mila quelle consegnate, circa 100mila quelle utilizzate (praticamente tutte per insegnanti e forze dell'ordine). Non molto meglio va nell'efficientissima Germania. Qui le fialette teoricamente pronte all'uso sono 1,45 milioni, 271mila le fialette iniettate.
Come è possibile che questo accada con una fame di vaccini così evidente? A pesare è il tormentato sviluppo del vaccino, caratterizzata da test e dati comunicati e poi corretti in corsa. Le varie cancellazioni e riscritture hanno avuto effetti deleteri sui procedimenti di autorizzazione delle autorità regolamentari (l'Aifa, per esempio, ha cambiato le prescrizioni almeno tre o quattro volte, alzando solo pochi giorni fa l'età limite di somministrazione a 65 anni rispetto ai precedenti 55).
L'iter tortuoso ha anche creato problemi logistici e di organizzazione della somministrazione alle classi di età più giovani. A questo si è aggiunta una questione psicologica. Per dirla con Angela Merkel, che ne ha parlato in una intervista alla Faz, questo vaccino ha un «problema di accettazione». Che per altro non riguarda la Cancelliera, visto che a 66 anni, lo ha detto lei stessa nell'intervista citata, non è prescritto che si vaccini con le fiale anglo-svedesi.
In Germania come in gran parte della Ue vale il limite d'uso dei 65 anni, che invece non è stato minimamente preso in considerazione dalla Gran Bretagna. Il premier Boris Johnson non ha messo alcun vincolo e, per accelerare il tasso di copertura della popolazione, ha deciso di ridurre le scorte, sfruttando al massimo gli ultimi dati, secondo cui la seconda dose ottiene i migliori risultati se iniettata dopo più di 90 giorni. Per AstraZeneca restano comunque i problemi produttivi che hanno causato il recente annuncio relativo a una riduzione delle dosi in arrivo nei prossimi mesi. «L'Unione Europea ha sottovalutato il fatto che le «promesse delle case farmaceutiche avrebbero potuto dimostrarsi inattendibili», ha commentato ieri Paolo Gentiloni, Commissario Ue agli affari economici.
Entro la fine dell'anno l'Europa sarà in grado di produrre due/tre miliardi di dosi, ha detto il Commissario Thierry Breton, appena nominato capo della task force in materia. Nessuno dubita che il Vecchio Continente sia in grado di esprimere tutta la forza del suo sistema industriale. Il problema è fare in fretta. E nel frattempo si guarda ovunque. Ieri il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha discusso in una conversazione telefonica con Vladimnir Putin, la possibilità che Vienna acquisti il vaccino russo Sputnik. È quello che ha fatto pochi giorni fa San Marino (ieri le prime 25 iniezioni). Anche se i russi il loro vaccino se lo fanno pagare e bene.
Secondo i dati pubblicati dal Financial Times Mosca ha appena chiuso un accordo di fornitura con l'Unione Africana alla cifra di poco meno di 10 dollari a dose. Il doppio di quanto gli Stati africani pagheranno il tanto bistrattato vaccino di AstraZeneca.
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