L'esplosione delle proteste in Iran in seguito alla morte durante la custodia della polizia di una donna curda di 22 anni, Mahsa Amini, detenuta per presunta violazione delle regole dell'hijab (il velo) è la sfida più seria che la leadership iraniana ha dovuto affrontare negli ultimi anni. Almeno 30 persone sono state uccise nella rivolta. Ma la rabbia degli iraniani è più generale, per la situazione complessiva del Paese. La corruzione è sistemica tra l'élite politica, la povertà è crescente con un'inflazione superiore al 50%, i colloqui sul nucleare sono in una fase di stallo e c'è una totale mancanza di libertà sociale e politica. La popolazione iraniana si sente senza speranza. Secondo l'Istituto di ricerca dell'Organizzazione per la sicurezza sociale iraniana, almeno 25 milioni di iraniani vivevano al di sotto della soglia di povertà nel giugno 2021. Adesso quel numero è anche più alto.
Ma queste non sono le prime proteste nella storia della Repubblica islamica dell'Iran. Molti osservatori però ritengono che ci sia qualcosa di diverso questa volta. Lo slogan principale dei manifestanti è «Donna, vita, libertà», un appello all'uguaglianza e una presa di posizione contro il fondamentalismo religioso. Le proteste in corso vengono ora segnalate sia nelle aree della classe media che della classe operaia. Il cosiddetto Movimento Verde del 2009 aveva visto la protesta della classe media contro presunte frodi elettorali. Mentre quelle nel 2017 e nel 2019 erano confinate nelle aree più povere.
Il gioco però ora si fa duro. Ieri si sono svolte anche manifestazioni organizzate dallo stato in diverse città per contrastare i disordini antigovernativi. Ciò potrebbe preludere al tipo di repressione già avvenuto in passato. I manifestanti hanno bollato gli anti-governativi come «soldati israeliani», hanno anche gridato «Morte all'America» e «Morte a Israele», slogan comuni usati dai dirigenti religiosi del paese per cercare di suscitare sostegno alle autorità. «I trasgressori del Corano devono essere giustiziati», cantava la folla. E pure l'esercito ha minacciato che avrebbe «affrontato i vari complotti dei nemici al fine di garantire sicurezza e pace alle persone che vengono ingiustamente aggredite». Il ministro dell'intelligence Mahmoud Alavi invece ha avvertito: il loro «sogno di sconfiggere le grandi conquiste della rivoluzione non si realizzerà mai».
Le proteste anti-governative sono state forti nella provincia natale di Mahsa, il Kurdistan e nelle aree vicine. La televisione di stato ha detto che due depositi di armi, esplosivi e apparecchiature per le comunicazioni sono stati sequestrati e due persone sono state arrestate nell'Iran nordoccidentale. Per le Ong il bilancio è di almeno 50 morti, con arresti di studenti e attivisti nelle loro case. Anche la giornalista Nilufar Hamedi è stata incarcerata. Era stata una delle prime a dare notizia di quanto accaduto a Mahsa.
Un chiaro tentativo di frenare la rabbia oramai dilagante mentre gli Stati Uniti hanno ampliato la gamma di servizi Internet per gli iraniani, in deroga alle sanzioni, per aiutare la popolazione mentre le autorità iraniane stanno rallentando o oscurando la connessione alla Rete.
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