Si scrive evasione fiscale, si legge inefficienza dello Stato. Il direttore dell'Agenzia delle Entrale Ernesto Maria Ruffini ieri ha ribadito il suo teorema: «In Italia ci sono 19 milioni di evasori, lasciamoli lavorare affinché ripaghino il debito». Una frase dal sapore medievale, che rispecchia la concezione dell'Erario degli italiani: non contribuenti che creano ricchezza in cambio di servizi ma sudditi, servi della gleba che lavorano per alimentare il buco nero della spesa pubblica.
In algebra la «regola di Ruffini» (dal matematico Paolo) permette di scomporre velocemente un qualunque polinomio. Bene, se scomponiamo il postulato di Ruffini scopriremo che il primo problema è l'enorme pressione fiscale a cui siamo sottoposti. Da 157 giorni, come ricorda la Cgia di Mestre, gli italiani lavorano per onorare tutti gli adempimenti fiscali dell'anno (Irpef, Imu, Iva, Tari, addizionali varie, Irap, Ires, contributi previdenziali, eccetera). Solo da domani scatta il cosiddetto Tax freedom day e si inizia a lavorare per noi. Su una cosa Ruffini ha ragione, quando dice che gli evasori li conosce tutti. Il 90% delle cartelle esattoriali arriva a persone perfettamente note al fisco: dipendenti, partite Iva, professionisti, gente che ha dichiarato le imposte da versare ma non è riuscito a pagare. Eppure si è visto (di nuovo) invaso da una pioggia di cartelle ultimative. Come se la pandemia e la guerra non ci fossero mai state.
L'evasione fiscale vera è altrove. Nel riciclaggio che si nasconde nelle transazioni anonime di contanti verso wallet digitali tipo Amazon ricarica in cassa, come dimostrato dalle inchieste del Giornale, mentre lo Stato insiste con la lotteria degli scontrini (ieri è stato estratto il premio da 5 milioni durante Germania-Italia) e al fallimentare cashback firmato Giuseppe Conte, altra paglia dove nascondere gli aghi del nero e senza portare un euro in più (dice la Corte dei Conti).
«Gli evasori non risulteranno quasi mai destinatari di cartelle», dice il commercialista Gianluca Timpone, che ricorda come l'Erario abbia elaborato un algoritmo predittivo (rivelato dal Giornale l'8 giugno 2021, ndr) che incrocia le 136 banche dati disponibili. Ma così si lascia impunito chi riesce ad essere trasparente per il fisco. Nullatenenti, società con prestanomi, eccetera. «L'evasore non transita nelle banche dati perché non presenta nessun modello dichiarativo, né dichiarazione dei redditi né dichiarazioni Iva né fatture elettroniche». Per snidare gli evasori servono più accertamenti analitici sul campo, ma l'Agenzia ha 30mila dipendenti a controllare circa 38 milioni di contribuenti. Ognuno ha a carico 1.270 contribuenti, ma con tempi medi di accertamento superiori a 60 giorni, un dipendente può verificare due, tre aziende all'anno.
Ci sono cartelle esattoriali per un controvalore di mille e cento miliardi. Ma soltanto una piccola percentuale si può effettivamente riscuotere. Eppure l'ex Equitalia anziché cancellare debiti ormai inesigibili li lascia annegare nel bilancio dello Stato, con un costo enorme di cui nessuno parla. «A volte - è il ragionamento di Timpone - bisogna avere il coraggio di riconoscere quando il cittadino non ha evaso». I funzionari dell'Agenzia delle Entrate difficilmente mollano la presa, perché la valutazione dei funzionari non si basa sulle imposte riscosse ma su quelle accertate. I freddi numeri dicono: 80 i miliardi di evasione accertata, 10 quelli recuperati.
Poi c'è il tema della compliance, della conformità alle regole, e della scarsa collaborazione dell'Erario. Le norme fiscali sono «scritte male e si lasciano interpretare», dice amaramente Timpone. Se n'è accorto anche Ruffini: «Ci sono i presupposti per fare una riforma, vedremo poi come continuerà». Non è un problema da poco. «Non è detto che un contribuente abbia effettivamente violato una norma, ad interpretarla (male) a volte è la stessa Agenzia - sottolinea il professionista - nonostante la prassi e la giurisprudenza sia di parere contrario». A volte il contribuente viene condannato semplicemente per errori formali di norme processuali. Ma ci sono sentenze che comunque vengono ribaltate perché gli ermellini, non potendo entrare nel merito, ne contestano alcuni aspetti giuridici. «Ma nel frattempo il contribuente deve anticipare un terzo delle imposte presuntamente evase». E se la Cassazione dà ragione al contribuente chi paga? La fiscalità generale. «Invece ci vorrebbe una legge - riflette il commercialista - che addebiti le spese al funzionario che ha portato l'accertamento fino al terzo grado, pur essendo consapevole della sostanziale innocenza del contribuente». E sui professionisti diventati delatori si abbattono gli oneri dell'antiriciclaggio: basta una carta d'identità scaduta per far scattare una sanzione. «Siamo utilizzati dall'Agenzia delle Entrate per agevolare il loro lavoro, vedi i tanti adempimenti per alimentare le informazioni nelle banche dati.
In pratica siamo loro dipendenti, pagati dai clienti contribuenti», è la conclusione di Timpone. Mentre sull'Iva (la tassa più evasa d'Europa) la Ue ragiona per blockchain - database condivisi tra Stati e contribuenti - mentre lo Stato insiste col Cloud pubblico e blindato. Un motivo ci sarà.
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