Tutti sapevano. Forze dell'ordine e polizia giudiziaria, in primis. Eppure nessuno ha mosso un dito. Più si approfondisce l'organizzazione dei funerali di Vittorio Casamonica, più è evidente come il Campidoglio, la Prefettura e la Questura avessero in mano tutti gli elementi necessari per intervenire per tempo. Tanto più che tra i parenti giunti in chiesa per le esequie alcuni erano ai domiciliari e hanno avuto bisogno dell'autorizzazione. Così è stato per il figlio del defunto, Antonio Casamonica, e per altri appartenenti al clan.
Ora che gli accertamenti sono stati conclusi, c'è massima attesa per sapere cosa contiene la relazione che il prefetto di Roma Franco Gabrielli ha consegnato oggi al ministro dell'Interno Angelino Alfano. "La relazione - spiega il ministro - servirà al ministro per prendere le decisioni a livello del ministro e il comitato per prendere le decisioni a livello della prefettura". Poi, la prossima settimana, si terrà un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica appositamente dedicato proprio allo scandalo dei funerali alla chiesa Don Bosco. Come se cadessero tutti dalle nuvole, politici, amministratori e militari cercano di capire cosa non ha funzionato. Eppure giovedì, il giorno stesso della morte di Vittorio Casamonica, l'avvocato Mario Giraldi ha presentato istanza alla Corte d'Appello affinché il figlio Antonio, attualmente agli arresti domiciliari, potesse partecipare al funerale. Le forze dell'ordine hanno pure effettuato un sopralluogo nella casa in cui Antonio Casamonica vive con i figli. "Impossibile, dunque, sostenere che non fossero a conoscenza del funerale", commenta il legale spiegando che la Corte d'Appello ha "regolarmente autorizzato Antonio Casamonica a partecipare ai funerali del padre senza sapere in quali termini si sarebbe svolta la cerimonia". La stessa trafila è stata portata avanti per altri due parenti. E i carabinieri hanno informato gli uffici competenti, compreso il commissariato di Tor Vergata.
L'articolo 27 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza conferisce al questore il potere di fermare le "esequie sontuose". Ma dalla Questura ha subito provato a chiamarsi fuori dal tiro a segno: "Non ci risultano condanne per associazione mafiosa, Vittorio Casamonica non era un boss riconosciuto. Non stiamo parlando di Totò Riina. Sapendolo con anticipo avremmo potuto imporre delle restrizioni, evitare la sfilata di auto. Ma erano liberi di suonare quello che volevano, anche la Traviata". Così nessuno ha mosso un dito sulla carrozza di Totò, la composizione del Padrino e la Rolls-Royce. E, soprattutto, sull’elicottero che ha sorvolato la chiesa Don Bosco lanciando petali di rosa. Il Copasir ha chiesto di verificare tutto ciò che si sapeva e capire cosa non ha funzionato. "Il nostro problema è capire come sia potuto succedere, anche in prospettiva di avvenimenti importanti che avremo in futuro - interviene il presidente Giacomo Stucchi - se il livello di controlli è questo... quell’elicottero poi avrebbe potuto lanciare di tutto". Nella piazza della chiesa erano presenti una dozzina di auto dei vigili urbani, una dei carabinieri e una della polizia. E, anche in questo caso, nessuno ha alzato il telefono per avvertire un superiore.
Anche don Giancarlo Manieri, il parroco che ha officiato i funerali, si è subito chiamato fuori dalle polemiche dicendo che non si era accorto di quello che stava accandendo fuori dalla chiesa. Tuttavia, ha assicurato, "rifarei tutto. Sono un sacerdote non un poliziotto". Il Vaticano, però, non ha gradito la pagliacciata.
"L'episodio - si legge sull'Osservatore Romano - ha nuovamente catapultato Roma sui media internazionali e ha permesso di avallare i peggiori stereotipi che la rappresentano". Il quotidiano della Santa Sede mette in chiaro che non c’è "spazio per zone d’ombra", ma anche in questo caso di mea culpa nemmeno l'ombra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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