Casi, la solita frenata della domenica. Ma l'indice di positività resta al 15%

Ieri 28.337 nuovi contagi con 188.747 tamponi effettuati. I morti sono 561 (165 in Lombardia), +43 le terapie intensive

Casi, la solita frenata della domenica. Ma l'indice di positività resta al 15%

La domenica porta con sé sempre una congelamento dei numeri. Con quell'impressione ottica del rallentamento che però viene smentita da un'analisi più approfondita dei dati. Ieri decisamente interlocutori.

Scendono i casi registrati, che sono 28.337, il dato più basso degli ultimi sei giorni. Ma anche i tamponi (188.747) sono i meno numerosi dal 16 novembre (quando furono 152.663) e così la percentuale dei tamponi positivi rispetto a quelli fatti - indice che noi riteniamo il più significativo tra tutti - resta a galleggiare sui valori degli ultimi giorni, appena sopra al 15 (per la precisione al 15,01).

Gli altri dati di giornata registrano 805.947 attuali positivi (come la quinta città italiana, poco sotto Torino), dei quali 767.867 in isolamento domiciliare fiduciario e 34.279 ricoverati con sintomi. Crescono di 43 unità i ricoverati in terapia intensiva, che toccano quota 3.801 e fanno un altro passo verso il record di 4.068 registrato il 3 aprile, in piena prima ondata.

I morti conteggiati ieri sono 561, un dato più basso rispetto ai cinque giorni precedenti, quando si era sempre stati sopra quota 600. I morti dall'inizio dell'emergenza sanitaria sono 49.823: viene rinviato a oggi il superamento della soglia dei 50mila morti complessivi.

Importante come sempre l'analisi regionale dei dati. Il numero più alto di nuovi contag si verifica come sempre in Lombardia, con 5.094 casi, davanti ai 3.217 della Campania, ai 2.956 del Veneto, ai 2.665 dell'Emilia-Romagna, ai 2.641 del Piemonte, ai 2.533 del Lazio. La Lombardia ha anche il record di tamponi fatti, con 29.800, davanti al Lazio 24.643 e alla Campania con 24.332. In Lombardia scende sensibilmente l'indice di positività, che per diversi giorni si era trovato sopra il 20 per cento e che ieri ha superato di poco il 17 per cento (17,09). Un altro indizio che nella regione più colpita dalla pandemia l'emergenza si va lentamente raffreddando. Attualmente la situazione appare più grave in almeno cinque grandi regioni: il Veneto con 22,07, l'Emilia-Romagna con 20,32, la Puglia con 19,87, la Sicilia con 19,51, il Piemonte con 19,41. Messe maluccio anche la provincia autonoma di Bolzano con il 18,52 per cento e la Calabria con il 18,30. Tra le grandi regioni le perfomrance migliori sono segnalate in Campania (13,22), Toscana (11,03) e Lazio (10,28), anche se sotto il dieci si trovano soltanto l'Umbria (8,62), il Molise (8,48) re la provincia autonoma di Trento (4,50).

Interessante per valutare davvero a che punto ci troviamo della curva epidemiologica, allargare lo sguardo e confrontare i dati di ieri con quelli della precedente domenica (il 15 novembre). Quel giorno i casi furono 33.979 (5.642 in più rispetto a ieri) a fronte di 195.275 tamponi, con un indice di positività del 17,40 per cento (in Lombardia era del 20,83). I morti erano poco di meno (546) e le terapie intensive erano aumentate di 116 unità. Insomma, c'è un chiaro rallentamento.

Anche la virologa Ilaria Capua, dell'Emerging Pathogens Institute dell'Università della Florida, crede che il peggio possa essere passato: «Credo che l'Italia sia a un passo dalla svolta - dice intervenendo al festival Focus Live a Milano -.

Le cose vanno meglio e la situazione è più sotto controllo. Ma il vaccino è un pezzo del puzzle. Bisogna fare i conti con la realtà, scavallare l'inverno ed essere pronti per una primavera di rinascita». Ma quanto sembra lontana la primavera, oggi?

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