E adesso il ciclone scaturito dal processo Eni e dai verbali del finto pentito Piero Amara investe la sua vittima più illustre: Francesco Greco, 69 anni, capo della Procura della Repubblica di Milano. È l'ex «ragazzo prodigio» del pool Mani Pulite, il pm che ha rivoluzionato il modo di indagare sui grandi crimini economici, facendo da scuola in Italia e fuori. Ma che ora si ritrova sul banco degli indagati, accusato dalla Procura di Brescia di omissione di atti d'ufficio. La sua colpa: non avere aperto immediatamente, come prevede la legge, una inchiesta sulla «loggia Ungheria», il gruppo di potere di cui - secondo i verbali resi da Amara proprio davanti alla Procura milanese - facevano parte politici, faccendieri, alti ufficiali. E magistrati.
È una svolta quasi drammatica, un colpo di scena che arriva nelle stesse ore in cui davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura va a sedersi Paolo Storari, il pm milanese che consegnò a Piercamillo Davigo, allora membro del Csm, i verbali di Amara: e che si giustifica accusando Greco di avergli impedito sia di scavare sulla loggia Ungheria, sia di arrestare per calunnia Amara. Greco aveva reagito duramente, facendo finire Storari sotto procedimento disciplinare: e da ultimo, l'altro ieri, tacciandolo di «slealtà e menzogne» in una lettera inviata ai pm che gli avevano espresso solidarietà. Già quella lettera di Greco all'intera Procura, un gesto mai visto da parte di un capo di un ufficio giudiziario, aveva fatto capire che la situazione stava precipitando.
Ora si capisce tutto. Quando giovedì parte quella lettera, Greco probabilmente sa già che le dichiarazioni di Storari lo hanno messo nel mirino della Procura di Brescia. È un «atto dovuto», dicono all'Ansa fonti della Procura bresciana: ma poco cambia. Brescia sta già indagando Storari e Davigo per rivelazione di segreto d'ufficio. Incriminando anche Greco investe il fronte opposto. Di fatto, è l'intera Procura milanese, nelle sue diverse anime, a trovarsi sotto inchiesta. E al centro di tutto c'è la gestione dissennata dei verbali di un calunniatore pregiudicato come l'avvocato Amara. Tutto nasce da lì: dall'ansia di Greco e del suo procuratore aggiunto Fabio De Pasquale di perdere il processo Eni, vissuto non come un processo qualunque ma come una sorta di crociata. È per vincere che De Pasquale sceglie Amara come testimone d'accusa. E quando Storari scopre il bluff dell'avvocato siciliano, i vertici lo bloccano, impedendo di approfondire le sue rivelazioni: di capire, cioè, se si tratta di una preziosa fonte investigativa o di un millantatore, di un avvelenatore di pozzi.
Finora, i vertici della Procura hanno negato che a Storari sia mai stato proibito di indagare. Ma il Corriere della Sera ha riportato una mail interna alla Procura in cui ancora il 17 aprile 2020, quattro mesi dopo gli interrogatori di Amara, il superiore diretto di Storari gli scriveva che Greco «ha perplessità sull'opportunità di cominciare un'indagine». E spiegava che i timori di Greco nascevano proprio dalla necessità di salvaguardare il processo Eni. Ora quelle «perplessità» pesano su Greco come un macigno, a quattro mesi dalla pensione. E gli piombano addosso proprio mentre Storari si difende davanti al Csm e davanti al procuratore generale della Cassazione che, in linea con Greco, vuole cacciarlo da Milano.
Una autodifesa, secondo il suo difensore Paolo Della Sala, forte ed efficace. Alla fine, il Csm rinvia a martedì prossimo l'udienza, poi servirà qualche giorno per la decisione. Ma qualunque sia la sorte di Storari, ormai questa storia è molto più grossa di lui.
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