Caso Shalabayeva, nuove carte inchiodano Alfano e la polizia

Depositate in procura le nuove carte che accusano il ministro dell'Interno e i vertici della polizia. Ombre sul blitz della notte del 28 maggio 2013: ecco cosa non torna

Caso Shalabayeva, nuove carte inchiodano Alfano e la polizia

C'è un sms che spunta dal passato e fa piombare nuove ombre sul Viminale. A distanza di quattro anni della sorte di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente ricercato Mukhtar Ablyazov, e della figlia Alua non si sa ancora granché. Sullo scandalo internazionale che ha travolto Angelino Alfano aleggia ancora un mistero che la procura di Perugia sta cercando di dipanare. E i nuovi documenti depositati nell inchiesta per sequestro di persona vanno proprio in questa direzione, e (ri)accendono i riflettori sul ministro dell'Interno e sui vertici del Dipartimento di Pubblica sicurezza.

A processo andranno sette tra dirigenti e funzionari di Polizia, il giudice di pace Stefania Lavore che autorizzò la consegna di Alma e Alua ad Astana e tre diplomatici kazaki. Ora, però, si addensano pesanti sospetti anche su Alfano. Il 28 maggio 2013, secondo le carte messe agli atti, il ministro non avrebbe saltanto segnalato l'urgenza di catturare Mukhtar Ablyazov al capo di gabinetto Giuseppe Procaccini, ma avrebbe addirittura chiesto di essere tenuto costantemente informato degli esiti di quella caccia all'uomo. Questo, secondo Repubblica, "spiegherebbe il movente della catena di abusi e illegittimità di cui si sarebbero resi responsabili i sette tra dirigenti e funzionari di Polizia".

Al centro delle indagini ora c'è il blitz nella villa di Casal Palocco dove si pensava fosse nascosto Ablyazov. Lì, invece, la polizia trovò solo la moglie Alma. "Non fu una decisione che presi di mia iniziativa - spiega Procaccini - la sera del 28 maggio 2013, Alfano mi informò che l'ambasciatore kazako lo aveva cercato perché aveva urgenza di comunicare con il ministero. Aggiunse che era una questione di grave minaccia alla pubblica sicurezza". Quella stessa sera l'allora capo di segreteria del Dipartimento di Pubblica sicurezza, Raffaele Valeri, viene convocato nell'ufficio del capo di gabinetto di Alfano. E lì conosce due signori che gli vengono presentati come l'ambasciatore del Kazakhstan e un suo funzionario. "Dovevano riferire notizie di sicurezza nazionale - spiega Valeri - dissi all'ambasciatore che il loro referente avrebbe dovuto essere il ministero degli Esteri e non l'Interno. E mi sembra di ricordare che Procaccini mi disse di aver ricevuto l'ambasciatore su input del Viminale".

Nella notte del blitz Valeri smuove il prefetto Alessandro Maragoni, capo della Polizia facente funzioni, Francesco Cirillo, direttore centrale della Criminalpol, e Gaetano Chiusolo, direttore centrale della Anticrimine. "Comunicai a Marangoni e a Procaccini l'esito negativo della ricerca del latitante - continua a raccontare - e ricordo che Procaccini mi chiese di trasmettergli un sms con la notizia, in modo che lui potesse informarne il ministro dell'Interno. Io lo mandai". Stando a quanto riferito agli inquirenti, Procaccini Valeri non avrebbero informato Alfano del fatto che, al posto di Ablyazov, fosse stata fermata la moglie Alma.

Secondo Repubblica, però, la sera del 28 maggio, nell'ufficio di Procaccini al Viminale, i diplomatici kazaki avrebbero mostrato documenti su Ablyazov e un appunto dell'Interpol sulla moglie: "To deport her", da espellere.

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