Adesso, volente o nolente, il governo dovrà tirare fuori dal cassetto il contratto segreto firmato dalla Commissione europea con il colosso Pfizer per la fornitura di Corminaty, il primo vaccino per il Covid-19 approvato dalle agenzie del farmaco europee. Perché se davvero l'Italia è decisa a fare la voce grossa con la multinazionale per la riduzione unilaterale della fornitura, e a rivolgersi alla magistratura per costringerla al rispetto degli accordi, bisognerà spiegare almeno al giudice quali sono questi patti.
Si dovrà, cioè, sollevare almeno in parte il velo che ricopre gli accordi presi: ancora l'altro ieri il commissario europeo alla salute Stella Kyriakides non ha voluto rivelare ai parlamentari quali sanzioni preveda l'accordo, e nei prossimi giorni gli eurodeputati potranno solo leggere l'accordo senza farne copia, con 50 minuti di tempo a testa. Un velo di riservatezza che i vertici della Ue hanno finora motivato con la necessità di tutelare sia i segreti industriali di Pfizer-Biontech, sia di non divulgare il contenuto economico, cioè il prezzo pagato per ogni dose. Ma è chiaro che nessun ricorso e nessuna denuncia può partire contro Pfizer se non si deposita per intero il contratto che regola la fornitura.
Ma quali sono le chance di ottenere per via giudiziaria il rispetto degli accordi presi? L'altro ieri il ministro per gli Affari regionali, il piddino Francesco Boccia, ha ipotizzato apertamente una denuncia penale nei confronti di Pfizer per inadempienza contrattuale. Sarebbe una mossa di notevole impatto mediatico ma difficilmente in grado di sortire risultati concreti in tempi utili: prima che un magistrato affronti la pratica, la valuti, intervenga, il piano di somministrazione dei vaccini si spera che sia in fase avanzata. Per questo è più probabile che - se la dilazione delle consegne dovesse proseguire - il governo scelga di affidarsi alla magistratura civile: e proprio in questa direzione sembra andare l'affidamento della pratica nei giorni scorsi all'Avvocatura dello Stato. E qui dalla sua parte il governo ha due strumenti. Uno che fa da sempre parte del codice di procedura civile, l'articolo 700 che consente ricorsi e provvedimenti d'urgenza in caso di danno grave e imminente. L'altro è uno strumento più recente, inserito all'articolo 614bis, e si chiama «astreinte»: prevede la possibilità per il giudice di stabilire una sanzione fissa, immediatamente esecutiva, stabilendo «la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento».
In pratica, l'Avvocatura dello Stato potrebbe chiedere un provvedimento d'urgenza per dichiarare l'inadempienza contrattuale di Pfizer, e un ordine alla multinazionale di consegnare tutte le dosi previste. E nel caso che, come probabile, costringere materialmente il colosso a consegnare tutte le dosi, chiedere che per ogni giorno di ritardo il colosso debba versare una somma che, viste le dimensioni miliardarie del contratto, potrebbe risultare assai salata.
In questo modo, al danno di immagine per Pfizer si aggiungerebbe un pesante danno economico. La domanda ora è: questa prospettiva, questo rischio, saranno sufficienti a convincere nei prossimi giorni l'azienda newyorkese a tornare sui suoi passi? Per rispondere, bisognerebbe conoscere il dettaglio cruciale che la Kyriakides si è ben guardata dal rendere noto al Parlamento di Bruxelles: quali clausole sono previste in caso di ritardi nelle forniture di vaccino?
Al momento della firma dell'accordo, ad avere il coltello dalla parte del manico era sicuramente Pfizer, i governi erano alla ricerca disperata di un primo farmaco, e avrebbero accettato qualunque condizione, anche la più pesante, pur di portare a casa le dosi.
Se tra le clausole capestro ci fosse anche la rinuncia ad intraprendere azioni legali contro le eventuali inadempienze di Pfizer, fare causa diverrebbe impossibile. E i proclami di questi giorni si rivelerebbero in tutta la loro inconsistenza.
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