Segretario Sbarra, anche voi avete criticato la manovra, ma a differenza di Cgil e Uil non avete proclamato la mobilitazione.
«Pensiamo che davanti alle sfide che attendono il Paese e alle difficoltà di una crisi aggravata da guerra e inflazione occorra un grande senso di responsabilità. Sarebbe un errore elevare in modo esasperato la conflittualità nei confronti di una manovra che pur con alcuni elementi sbagliati e da correggere, per due terzi integra misure importanti nella risposta emergenziale, garantendo fino a marzo sostegno a lavoratori, famiglie e sistema produttivo».
No quindi a scioperi anche a livello regionale come propone Cgil?
«Noi diciamo una cosa molto semplice: miglioriamo e raddrizziamo subito questa manovra rafforzando e dando continuità al dialogo con il governo e con le forze parlamentari. Serve coesione e dialogo. Lo sciopero non è lo strumento giusto. Sbagliato chiedere in questa fase sacrifici ulteriori ai lavoratori, infuocando le relazioni industriali e danneggiando indirettamente il tessuto produttivo».
Aspettate l'incontro del 7 con il governo. Cosa vi fa avere fiducia?
«Abbiamo sollecitato molto questo incontro e abbiamo apprezzato la disponibilità del premier che più volte ha ribadito l'importanza del dialogo sociale. Diremo al governo che la manovra risulta debole e incompleta sul versante espansivo e degli investimenti in molti settori come la sanità, la scuola, la politica industriale ed energetica, la non autosufficienza. Bisogna togliere i vincoli su Opzione Donna, assicurare la piena indicizzazione delle pensioni, consolidare la riduzione del cuneo fiscale, cambiare la norma che estende l'applicabilità dei voucher nel terziario e nel comparto agricolo. Parallelamente vanno avviati i tavoli sulle grandi riforme a partire da previdenza, fisco, salute e sicurezza, sanità e non autosufficienza, mercato del lavoro, formazione e politiche attive».
Lei rappresenta un gruppo sociale politicamente moderato e socialmente variegato. Meloni ha dichiarato che la manovra rafforza la classe media: è d'accordo?
«Sicuramente è apprezzabile il potenziamento dell'assegno unico per le famiglie numerose, l'innalzamento della soglia Isee a 15mila euro per gli sconti in bolletta, il miglioramento dei congedi parentali, il sostegno ai redditi bassi per l'acquisto di beni essenziali, la decontribuzione per le nuove assunzioni e stabilizzazioni. È chiaro che non basta. Va fatto uno sforzo in più per detassare completamente gli accordi di produttività, da cui occorre togliere il vincolo di incrementalità ed allargare ai settori pubblici».
Lo stop alla rivalutazione di pensioni sopra i 2.100, l'ampliamento del taglio del cuneo ai redditi fino a 20mila euro e l'aumento dell'assegno Inps solo per le famiglie numerose con redditi Isee fino a 35mila: Non le sembra che queste misure portino poco o nulla al ceto medio?
«Se non vogliamo che il ceto medio scivoli ulteriormente nella fragilità bisogna modificare la prima misura e rafforzare la seconda. Chiediamo di ristabilire la piena perequazione per le pensioni da quattro volte il trattamento minimo: non parliamo di assegni d'oro e neanche d'argento, ma di ex operai, insegnanti, impiegati pubblici e privati. Quanto al cuneo, abbiamo apprezzato la conferma della riduzione operata dal governo Draghi e l'ulteriore taglio di 1 punto per i redditi sotto i 20mila euro. Diciamo che si deve fare di più portando l'asticella dei 3 punti di taglio fino ai 35mila euro. Poi bisogna rinnovare e innovare i contratti pubblici e privati e abbassare le tasse su redditi da lavoro, pensioni e famiglie. Alla base di tutto resta il bisogno di avviare una nuova politica dei redditi attraverso un grande contratto sociale fra governo, sindacato e le imprese. Occorre rilanciare il valore reale dei salari valorizzando la contrattazione e le relazioni industriali, operando sulla leva fiscale, elevando e redistribuendo la produttività, rilanciando investimenti, inclusione e servizi pubblici».
Sulla legge di bilancio il governo si è mosso con prudenza. Cosa poteva fare meglio, a saldi invariati?
«Il culto de saldi invariati ha portato in anni passati al blocco degli investimenti produttivi. Il punto è cercare le risorse per far partire quello sviluppo da cui dipende anche la salute della finanza pubblica.
In questo senso noi diciamo che si potrebbe prendere in considerazione un nuovo scostamento, si può pescare dai fondi inutilizzati nazionali ed europei, incrementare e rendere esigibile il prelievo sulla speculazione e sugli extraprofitti, che va esteso anche ai giganti della logistica e del digitale. Non bisogna strizzare l'occhio ai furbi, ma stringere le maglie per recuperare parte di quei cento miliardi di evasione l'anno».
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