Più spazio, maggiore visibilità e incarichi nel Partito democratico. La richiesta è stata catapultata, in versione nemmeno troppo criptata, a Largo del Nazareno direttamente da Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani). Le parole sull’ipotesi di un “partito dei sindaci”, come riportato in questo articolo, sono state già decodificate dai vertici dem. E, a microfoni spenti, il messaggio non ha destato grande sorpresa: “I sindaci in carica scalpitano per avere un ruolo. Probabile che vogliano la candidatura alle Politiche senza doversi dimettere o comunque cercano garanzie sul futuro politico”, spiega a IlGiornale.it una fonte parlamentare del Pd. E c’è chi aggiunge: “Più che un partito sembra l’ennesima corrente che nasce, mentre si criticano le troppe correnti”.
Nulla di nuovo sotto il tetto dem. Ma resta un fatto: il risultato alle Amministrative diventa un Cavallo di Troia per il segretario Enrico Letta, alle prese con i primi cittadini più esperti smaniosi di ritagliarsi uno spazio. Quasi una riedizione aggiornata dei cacicchi di dalemiana memoria. E del resto la suggestione sul partito dei sindaci è “antica”, se ne parlava già nel 1997, quando appunto D’Alema era presidente del Consiglio. Così, a ogni tornata delle amministrative, il tema viene riproposto nel centrosinistra. Uno dei grandi sponsor di questo progetto in passato è sempre stato Michele Emiliano, ora presidente della Regione Puglia ma all’epoca sindaco di Bari, non a caso mentore politico di Decaro. Ma questo è il passato, appunto. Il presente ripropone la questione con nomi e volti diversi, cacicchi del Terzo Millennio.
Chi può entrare nel partito dei sindaci Pd
Decaro ha intorno a sé una corte di interessati all’iniziativa. Su tutti il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che già a giugno del 2020 teorizzava la possibilità di individuare un nuovo leader tra gli amministratori locali. La sua ambizione personale non è un segreto negli ambienti dem. Così come scalpita il primo cittadino di Firenze, Dario Nardella, che di recente, in un’intervista a La Nazione ha rilanciato il ragionamento di Gori, adattandolo ai casi esteri: “Il sindaco di Istanbul è il vero rivale di Erdogan in Turchia. I sindaci delle capitali dell’Est sono gli unici ad aver alzato la testa contro i loro governi sovranisti, e tre giorni fa la sindaca di Parigi Anne Hidalgo ha lanciato una sfida clamorosa quanto difficile, candidandosi per l’Eliseo”. E chi sono gli altri interlocutori? Senza dubbio Matteo Ricci (Pesaro), ex renziano poi diventato fedelissimo di Zingaretti, che ha sottolineato subito dopo il primo turno del 3-4 ottobre: “Ancora una volta il centrosinistra vince grazie ai suoi sindaci, che sono capaci e popolari, in grado di allargare il consenso nelle città”. Dietro questi nomi, da sempre tentati da una maggiore visibilità, emergono altri profili. In Toscana, un altro interlocutore è Matteo Biffoni, al secondo mandato a Prato dopo il successo del 2019.
I sindaci lombardi
Il progetto è poi senz'altro indirizzato al sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, spesso indicato come modello per il Pd: è uno dei pochi che riesce a vincere nella Lombardia, storico feudo del centrodestra, parlando agli elettori. Stesso discorso vale per Davide Galimberti, che a Varese cerca la conferma nel ballottaggio di domenica prossima: sarebbe un bis pesante nella città che fu governata dall’attuale presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. E nel discorso rientrano anche Valentina Mancinelli da otto anni alla guida del Comune di Ancona, anche lei molto attenta all’amministrazione pragmatica della città, e Valentina Cuppi, la sindaca di Marzabotto lanciata sulla ribalta nazionale dalla segreteria di Zingaretti.
“Qui tutti trattano per un posto futuro. Quella del sindaco non è una condizione che dura per sempre”, chiosa una parlamentare del Pd. E nella trattativa i sindaci fanno pesare i voti sul territorio, che a Letta servono, eccome.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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