Se solo qualche mese fa i ministri economici di Gentiloni vedevano rosa dappertutto, con la ripresa economica che, a loro dire, si stava sempre più consolidando, oggi il governo gialloverde sta facendo i conti con una congiuntura decisamente sfavorevole. Il ministro per gli Affari Europei, Paolo Savona, ha fatto volare l'altro giorno, sulle nostre teste, il cigno nero, cioè la possibilità di un'uscita forzata del Belpaese dall'euro, ed è stato seguito a ruota dalla Commissione di Bruxelles (ma anche da Bankitalia). Infatti, secondo gli ultimi dati, le previsioni di crescita per l'anno in corso sono in netta frenata in tutta l'area Ue. Non solo: in un contesto che torna a farsi grigio, l'Italia si dimostra nettamente il fanalino di coda con un Pil che dovrebbe attestarsi a fine dicembre all'1,3%, il più basso tra i 28 Paesi dell'Unione. E proprio ieri abbiamo saputo che il nostro debito pubblico ha raggiunto, nel maggio scorso, la cifra record di 2.327,368 miliardi. Non c'è proprio da stare allegri anche perché, l'altro giorno, il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, ha lanciato un nuovo allarme: «L'Italia è a un bivio: rischia la fine dell'Argentina se non sceglie l'Europa». Insomma, cigno o non cigno, il quadro è diventato improvvisamente nero. E non si tratta, in questo caso, di essere più o meno ottimisti. E il problema non è, neppure, essere «pro» o «contro» l'Europa. Sappiamo tutti, in effetti, che Savona è da tempo un euroscettico e che proprio le sue posizioni anti-Bruxelles hanno rischiato di fare saltare il nuovo governo prima ancora che potesse nascere. Ma, nel caso del cigno nero, il ministro sardo ha detto una cosa diversa: ha voluto mettere le mani avanti sul rischio che sia lo stesso club europeo a indicarci la porta d'uscita perché siamo diventati un peso ingombrante per tutti gli altri partners. È un allarme che, con altre parole e con un tono «soft», ha lanciato anche l'autorevole presidente dell'Associazione bancaria. Se non ci mettiamo subito in riga, saranno gli altri a lasciarci fuori con tutte le conseguenze del caso.
Basta guardare cosa sta succedendo, in questi mesi, agli inglesi: hanno voluto la Brexit e adesso, a due anni dal referendum, sono lì che stanno ancora cercando una soluzione tra le dimissioni di un ministro e le proteste dei sudditi di Sua Maestà che vorrebbero chiudere definitivamente la Manica ai lavoratori stranieri. Insomma stanno venendo al pettine tutti i nodi del passato: gli errori degli ultimi governi di sinistra, le illusioni e le promesse che non sono mai diventati fatti. Oggi ci restano solo i cocci.
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