Commissione Ue, torna l'asse Ppe-Ecr-Patrioti. E Fitto eviterà l'ultima audizione

I Popolari fanno da "scudo" all'italiano. Gli esami del vice sono alla fine. La politica dei due forni di Ursula

Commissione Ue, torna l'asse Ppe-Ecr-Patrioti. E Fitto eviterà l'ultima audizione
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C'è un dato politico e c'è un dato tecnico. Il primo dice che ieri, durante la riunione dei capigruppo del Parlamento europeo che si è tenuta a Strasburgo, ancora una volta - era già successo con la risoluzione sul Venezuela - il Ppe ha deciso di sganciarsi dai Socialisti di S&D e votare d'intesa con la destra di Ecr e i sovranisti dei Patrioti. La conferma che Ursula von der Leyen continua a muoversi secondo la logica dei «due forni», con maggioranze variabili alla bisogna. E non su temi di secondaria importanza, ma su un passaggio decisivo come il calendario delle audizioni all'Eurocamera dei commissari designati, appuntamento chiave e non scontato prima che il 26 o 27 novembre la plenaria di Strasburgo si pronunci sull'intera Commissione Ue, destinata - salvo incidenti - a entrare in carica dal primo dicembre. Il dato tecnico, invece, è che l'asse Ppe-Ecr-Patrioti porta a casa una tempistica che mira a proteggere la vicepresidenza esecutiva che von der Leyen ha voluto assegnare a Raffaele Fitto, nonostante Ecr non faccia parte della maggioranza Ppe-S&D-Renew-Verdi che ha dato il via al suo bis. I Socialisti sono infatti in grande agitazione per come la presidente sta gestendo la partita e si rendono conto che i nuovi equilibri del Parlamento Ue rischiano di ridimensionarne il loro ruolo e il loro potere di interdizione. È per questo che vorrebbero portare a casa almeno uno scalpo, privando Fitto della vicepresidenza esecutiva nel passaggio delle audizioni. E in questo senso il calendario è decisivo per favorire eventuali manovre di disturbo. In capigruppo a Strasburgo, però, ieri S&D è uscita sconfitta due volte. Le audizioni, complice anche Renew che voleva tutelare i suoi due vice Stéphane Séjourné e Kaja Kallas, non inizieranno con gli hearings dei sei vicepresidenti esecutivi come inizialmente previsto, ma dai commissari semplici. Ma c'è di più. Perché a cambio avvenuto, la capogruppo socialista Iratxe García Pérez ha spinto affinché fosse Fitto l'ultimo dei vice a essere esaminato. E la ragione è banale: passati tutti gli altri - compresa la socialista spagnola Teresa Ribera - i parlamentari di S&D e Verdi avrebbero potuto muoversi più liberamente e senza il timore di ritorsioni. Invece no. Le audizioni dei sei vice non solo saranno tutte in un giorno (il 12 novembre), ma Fitto sarà il primo dei sei. Anche grazie allo «scudo» del Ppe, che proprio per evitare scherzi al commissario italiano ha dato la sua disponibilità affinché fosse la finlandese Henna Virkkunen a chiudere gli hearings. Non è un caso che Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo Ecr, arrivi a definire quello dei Popolari un «gesto nobile».

E il tutto è avvenuto con una votazione in conferenza dei capigruppo. Con la presidente del Parlamento Ue Roberta Metsola che ha registrato in sequenza il «sì» del Ppe, il «no» di S&D, e i successivi «si» di Patriots ed Ecr (si procedere partendo dal gruppo più numeroso e poi a scalare). A quel punto, senza neanche interpellare Greens e Left, la maggioranza era già stata raggiunta.

Un passaggio che è la fotografia esatta di ciò che davvero sta agitando S&D e i gruppi alla sua sinistra in queste settimane: quando il Ppe fa sponda con Ecr e i Patrioti di Viktor Orbán, Marine Le Pen e Matteo Salvini, infatti, i voti di Socialisti, Verdi e Sinistra diventano superflui. Non è un caso che S&D stia chiedendo a von der Leyen di fare chiarezza su quale sia davvero la sua maggioranza: quella di luglio che ha dato il via al bis o quella di dicembre, quando certamente otterrà anche i voti di Ecr. Con la minaccia di far saltare il banco durante il voto in plenaria a Strasburgo. Che, però, è a scrutino palese. Difficile, insomma, che S&D - dove il Pd è la delegazione più numerosa, seguita dai socialisti del Psoe - arrivi a imboccare una strada che manderebbe nel caos le istituzioni europee.

Con i dem che dovrebbero spiegare perché hanno fatto saltare un vicepresidente esecutivo italiano, e i socialisti spagnoli che avrebbero lo stesso problema rispetto a Ribera, che per il peso delle sue deleghe è di fatto la numero due di von der Leyen.

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