«Mettiti a posto o ti facciamo saltare in aria, cercati un amico». Una frase inequivocabile, quella fatta recapitare dalla mafia nel 2019 insieme a una bottiglia con liquido infiammabile al cavalier Giuseppe Condorelli, titolare di una delle più note industrie dolciarie italiane, con sede a Belpasso, alle pendici dell'Etna. Ma il «re dei torroncini» aveva respinto la richiesta di tangente e denunciato tutto ai carabinieri, fornendo un'accelerazione all'inchiesta «Sotto scacco», partita nell'ottobre 2017 grazie alle dichiarazioni di quattro collaboratori di giustizia.
E ieri le indagini dei militari del Comando Provinciale di Catania, coordinati dalla Dda, hanno portato a 40 arresti tra Catania, Siracusa, Cosenza e Bologna di personaggi riconducibili alla famiglia Santapaola-Ercolano, operanti in provincia di Catania, che si occupavano anche del pizzo. Sono indagati, a vario titolo, per associazione per delinquere di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni e associazione per delinquere finalizzata alla commissione di falsi e truffe ai danni dell'Inps.
Le indagini hanno consentito anche di ricostruire gli organigrammi dei gruppi mafiosi Assinnata, Alleruzzo e Amantea localizzati in particolare nei comuni di Paternò e Belpasso. Tra i personaggi di spessore, c'è Santo Alleruzzo, che condannato all'ergastolo per duplice omicidio, mafia e traffico di droga e detenuto presso il carcere di Rossano (Cosenza), approfittava dei permessi premio per ritornare a Paternò e impartire ordini per la gestione del clan. «Anche questa indagine - commenta il comandante dei carabinieri di Paternò Gianmauro Cipoletta - ancora una volta, riscontra come la denuncia è un comportamento virtuoso non solo dal punto di vista etico e sociale ma che anche in concreto permette poi di uscire da queste logiche di intimidazione tipiche delle organizzazioni criminali. Chi non si piega, come nel caso della nota industria dolciaria Condorelli, viene lasciato in pace». In una telefonata intercettata, due affiliati dicevano infatti «si corrono troppi rischi a estorcere denaro a un personaggio di rilievo nazionale». Invece altri imprenditori compiacenti con le loro condotte hanno favorito consapevolmente le illecite attività del clan Santapaola-Ercolano. Tra questi il titolare di una ditta di commercio di prodotti ortofrutticoli che, versando una percentuale degli utili di impresa ai vertici mafiosi e consentendo agli stessi di concludere affari occultamente, otteneva la loro protezione per imporsi alla concorrenza e per gestire eventuali problemi con i creditori.
Un gioiellere, invece, consentiva allo stesso capo clan, di fare compravendite in contanti di diamanti, orologi e gioielli - senza rendicontazione fiscale - permettendogli di riciclare denaro. Documentato anche un ulteriore canale di finanziamento delle casse del clan: l'indebita percezione dell'indennità di disoccupazione agricola.
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