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Conte a caccia della fabbrica di "fake news". Di Maio chiede un "vertice di maggioranza"

Il sospetto dei grillini è che la Lega si sia «presa» anche via XX Settembre

Conte a caccia della fabbrica di "fake news". Di Maio chiede un "vertice di maggioranza"

Roma Se ormai poco ci manca «alle comiche finali» evocate dall'azzurro Renato Brunetta, il giallo della lettera di Tria «trapelata» dal Mef è il primo segnale concreto di quella crisi strisciante, di quello sciame sismico incessante tra i due alleati, capace di mandare a gambe all'aria non solo le superficiali speranze di ricomposizione e dunque la durata del governo, ma l'intero Paese e la sua fragilissima economia residuale. Esito che motiva le forti preoccupazioni che da ieri hanno ripreso a circolare, come flipper impazzito, per qualche ora tra i Palazzi e fin su al Quirinale. Fino alla presa di posizione serale, dopo uno scambio di telefonate ad alto potenziale nervoso tra Palazzo Chigi e via XX settembre, da parte del premier Conte che «ha concordato con Tria di sollecitare tutte le verifiche, anche giudiziali, affinché chi si è reso responsabile di tali fughe di notizie false sia chiamato alle conseguenti responsabilità». Le stesse fonti di Palazzo Chigi (Casalino) rimarcano «la gravità» della diffusione di un testo diverso da quello su cui stanno lavorando Conte e Tria, «trattandosi di questioni particolarmente delicate che incidono su interessi fondamentali dello Stato, e che coinvolgono la delicata interlocuzione con le Istituzioni europee e che possono avere ricadute negative sui mercati».

Ciò che non manca di alimentare tensione è il tono ancora a un livello da campagna elettorale, con i grillini che non hanno solo preso le distanze dai contenuti della bozza, ma anche accusato apertamente la Lega di averla scritta assieme a Tria, a insaputa dei 5s. O, che dir si voglia, da Tria su suggerimento di Salvini tagliando fuori Di Maio e, soprattutto, il premier. Come si possa sperare di andare avanti in questo clima è arduo saperlo.

Nella bozza del documento c'è la considerazione che verranno ridotte «le proiezioni di spesa per le nuove politiche in materia di welfare nel periodo 2020-2022»: un cambio di scenario nella politica economica che potrebbe far saltare la santabarbara grillina. Di Maio, dopo aver chiarito senza veli di «non saperne niente», ha chiesto ufficialmente «un vertice di maggioranza con la Lega insieme al presidente Conte e allo stesso Tria, così sistemiamo insieme questa lettera, prima che qualcuno la mandi a Bruxelles». Con ciò facendo capire, anche in questo caso per le spicce, a che punto sia scesa la fiducia 5s nel titolare di via XX settembre, già vittima del continuo malcontento fin dai tempi della prima manovra economica. Un San Sebastiano, Tria, che anche ieri ha dovuto far diramare dai suoi uffici una secca nota di smentita, «nel modo più categorico», che le anticipazioni uscite su tutti i siti e le agenzie di stampa fossero contenuti attendibili della lettera che il ministro Tria si prepara a inviare alla Commissione europea. Il Mef aggiunge che «tali contenuti non corrispondono alla realtà, come si potrà constatare quando si prenderà visione della lettera che sarà firmata dal ministro».

Pare essere tornati ai tempi non commendevoli delle «manine» misteriose che modificavano i testi legislativi, con il vicepremier Di Maio a fare la figura dello sprovveduto in tivù davanti alla «destrezza» leghista. Oggi, anche se con ogni probabilità quei contenuti effettivamente saranno modificati nella stesura finale della lettera, la posizione subalterna dei 5stelle rende non più sostenibili le rimostranze grilline su quanto emerge e sempre più emergerà, anche in politica economica, del nuovo corso impresso da Salvini. Così resta insostenibile il Di Maio che «non ne sa nulla» proprio mentre il vice ministro leghista del Mef Garavaglia ribadiva che i risparmi derivanti dal minore utilizzo dei fondi per il reddito di cittadinanza, stimati in circa un miliardo, rappresentano «una copertura da maneggiare con cura» e che «l'intenzione del governo è di utilizzare eventuali risparmi per ridurre le pendenze che abbiamo con l'Ue» (come in qualche modo sollecitato anche dal Quirinale e Corte dei conti).

Precisazione giunta alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera, dove sono state tra l'altro respinte proposte di modifica al dl crescita finalizzate a concedere bonus sui prodotti per l'infanzia. Visto, come ribadiva Garavaglia, che le «minori spese e le maggiori entrate hanno come priorità questa finalità».

RooS

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