E così nel giorno di Santa Lucia, il più buio che ci sia, proprio mentre lui chiede «chiarezza», sinistre luci del tramonto iniziano a calare su Giuseppe Conte. Il premier, sotto scacco, accerchiato, braccato, è costretto infatti alla mossa che non avrebbe mai voluto fare, la verifica di governo. Via dunque al «confronto» per squadernare i problemi, una serie di faccia a faccia in settimana con Zingaretti, Di Maio e Renzi per vedere come proseguire «nel segno di una maggiore franchezza e trasparenza», poi magari una tavolata a quattro, o a cinque con Speranza, con l'idea di cavarsela con un rimpasto, mentre il Colle vigila. Ma il rischio dell'operazione è altissimo perché, questa è la regola, quando si apre una verifica si sa sempre quando si comincia e mai come si finisce, la crisi è lì, a un attimo. Se si muove un mattone viene giù l'intero palazzo. Elezioni anticipate, governissimo, l'alito del Draghi, il Conte 3 commissariato da due vice: come finirà il Patto della Befana? Tutto è possibile, però in questi casi spesso a finire rimpastato è il presidente del Consiglio.
«Supereremo la tempesta e ne usciremo migliori con una nuova agenda dopo la pandemia», dice il premier, e forse ci crede. Ma i problemi sono enormi e le distanze sempre più ampie, non solo sulla lotta al virus, sulla gestione dei 209 miliardi del Recovery Fund, sulla delega sui servizi segreti o più in generale sulla «collegialità» delle decisioni. La questione centrale è Giuseppe Conte. Per Luigi Di Maio «è fuori dal mondo metterlo in discussione». Pure Nicola Zingaretti lo difende. «Al governo serve un rilancio, non progetti distruttivi»: l'ala governista del Nazareno chiede piccoli ritocchi, maggiore peso nelle scelte e nessuna crisi al buio. L'altro mezzo Pd pretende un restyling pesante e un cambio di linea. Che fine ha fatto, si chiede, la riforma elettorale? Iv «non vuole né crisi né rimpasto», giura Maria Elena Boschi. Ma Renzi, convinto che non si andrà a votare, punta su un nuovo presidente del Consiglio.
E qui entra in gioco il Quirinale. Sergio Mattarella, che da giorni ha intensificato gli inviti all'unità e alla serietà, non consentirà crisi al buio: se cade il governo, questa la linea, si sciolgono le Camere. Se invece le forze di maggioranza riusciranno davvero a stringere il Patto della Befana, a offrire una base solida per una ripartenza, beh, allora se potrà parlare. Però attenzione, una cosa è un rimpastino, un paio di ministri che si dimettono e che vengono sostituiti. Tutt'altra storia è cambiare dicasteri strategici come Interno, Esteri, Difesa, Tesoro e Salute: servirebbe, ricordano dal Colle, l'apertura formale di una crisi con tanto di consultazioni e voto di fiducia. Sicuri che la situazione non sfugga di mano? Per non parlare dell'ingresso di due vicepremier. Conte potrebbe pure decidere di parlamentarizzare la crisi presentandosi alle Camere dopo aver stretto un nuovo accordo: ma ne avrebbe il coraggio? E i numeri? Perciò l'invito del capo dello Stato è «prudenza» perché comunque, prima di ogni calcolo o manovra, c'è la Finanziaria da approvare.
Per il momento Conte cerca di tenersi fuori e di concentrarsi sul Recovery Fund, la miccia che può far esplodere tutto: evaporata ormai la task force dai superpoteri, sta trattando con Zingaretti sull'apertura di un tavolo economico-sociale a cui partecipino tutti i partiti della maggioranza. Ma il Pd vuole coinvolgere di più Parlamento e opposizione. E vuole un rimpasto. Blindati i superministri, a rischio taglio sono le solite note, Paola De Micheli e Lucia Azzolina, le due più criticate.
In bilico secondo alcuni anche Alfonso Bonafede, ma sul Guardasigilli i grillini faranno muro. Basterà? Forse no. Per Goffredo Bettini, segretario ombra del Nazareno, «il ritocco deve essere politico». Due big in squadra, allora, due carabinieri per sorvegliare Conte?
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