Oggi - salvo rinvii, che nell'era contiana sono pur sempre la norma - scatta l'ora X.
Il premier, pressato da ogni lato, ha convocato per stasera il Consiglio dei ministri che dovrebbe varare il Recovery plan e il nuovo scostamento di Bilancio. E sa che per Matteo Renzi si tratta dell'ultima finestra utile per farlo saltare, con le dimissioni delle due ministre di Italia viva, Teresa Bellanova e Elena Bonetti. E poi?
Giuseppe Conte, asserragliato a Palazzo Chigi, ieri veniva descritto come molto spaventato. Al punto da essere entrato in conflitto con il suo Lord Protettore del Quirinale, che nel weekend ha cercato di prendere le redini di una pre-crisi che stava diventando una maionese impazzita e di salvare il salvabile, dettando le priorità: innanzitutto mettere in sicurezza il Recovery plan italiano (la nuova bozza rielaborata in base alle osservazioni della maggioranza è stata inviata ieri sera a tutti i ministri) che entro marzo deve arrivare all'esame ed eventuale via libera di Bruxelles. Poi ridiscutere il patto di governo, attraverso una rapida crisi pilotata, da far sfociare in un Conte ter con ampio rimpasto ministeriale. Nel quale a Renzi verrebbe offerto molto, fino al Ministero degli Esteri per sè medesimo, a patto di stabilizzare il gabinetto Conte. Gigino Di Maio, con sollievo delle diplomazie dell'Occidente, verrebbe spostato all'Interno, con in più le mostrine da vicepremier, magari condivise con il Pd Andrea Orlando.
In cambio, però, Giuseppe Conte dovrebbe assoggettarsi alla via crucis della crisi: dimissioni, consultazioni, reincarico, nuovo gabinetto e nuova fiducia. Il premier però non ne vuole sapere: «Le crisi si sa come si aprono ma non come si chiudono», dicono i suoi. Conte sa che tra lui e Renzi è una sorta di remake di Highlander: alla fine, «ne resterà soltanto uno». Quindi cerca di frenare la deriva, minacciando di andare a chiedere la fiducia in Parlamento per stanare i renziani. E intanto si aggrappa alla sua ancora di salvataggio: il virus. «Sta arrivando una nuova impennata dei contagi, e non sarà facile», prevede con toni da Nostradamus, quindi «dobbiamo ancora fare dei sacrifici». Primo tra tutti, tenere in piedi il suo governo, sembra il messaggio.
Fatto sta che ieri sera, dal quartier generale Pd da cui si seguono le manovre belliche, si respirava un'ariaccia: «Altro che crisi pilotata, qui rischiamo una crisi al buio», confidava ai suoi Dario Franceschini, reduce dai colloqui con il capo di Italia viva. «Non si capisce cosa voglia Renzi, dobbiamo tenerci pronti ad ogni eventualità. Quando deciderà, ognuno farà le proprie mosse», dicono dal Nazareno, dove fino a 24 ore prima si sperava, tutti giulivi, di aver fatto tombola: ottenere un lauto rimpasto e un commissariamento di Conte senza aver mosso un dito nè lasciato un'impronta digitale, perché a fare il lavoro sporco ci pensa Renzi.
La situazione invece si è talmente ingarbugliata che ieri sera Goffredo Bettini, gran stratega della nuova Ditta dem, ha lanciato dai microfoni di Zapping, sulla Rai, un accorato appello a Forza Italia: «Uscite dall'ombrello di Meloni e Salvini», e venite con noi, il succo. Che suona come una minaccia di redde rationem (e di sostituzione di Iv con gli azzurri) in Parlamento, se oggi davvero le due ministre renziane apriranno la crisi, dimettendosi e costringendo Conte a salire al Colle.
Poi da Bettini anche un avvertimento anche a Mario Draghi: «Una personalità così importante non va tirata per la giacca e buttata in una mischia così confusa. Può venire utile in ogni momento». Come dire: non ti sprecare ora, che poi c'è il Colle. Un messaggio che deve esser stato poco apprezzato da Franceschini.
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