Correre i rally per respirare. Rachele sfida la fibrosi cistica

Contro i pronostici, la giovane pilota alterna le corse ai lunghi periodi di cura. E raccoglie fondi per la ricerca

Correre i rally per respirare. Rachele sfida la fibrosi cistica

U n salotto con pile di riviste di motori, un padre che correva in macchina, una bambina che aveva un sogno. Rachele voleva diventare pilota nonostante fosse affetta da una grave patologia genetica. «Mai, né io né i miei genitori avremmo pensato che sarei riuscita a diventare un pilota», dice Rachele. Mentre la sua passione per le macchine cresceva, si trovava ad affrontare i lunghi tempi per le cure della sua malattia: la fibrosi cistica. Sembra quasi di vederla, quando ignorava le bambole e giocava con le macchinine.

Oggi Rachele Somaschiniha 25 anni ed è pilota di rally. Una prova di forza, la sua. Battuta contro venti contrari, contro tutti i pronostici, contro la fibrosi cistica. E se c'è una cosa che colpisce è la sua determinazione. Ma anche la sua calma pacata e la sua disciplina. Perché da un lato c'era la voglia, una grande voglia di correre. Dall'altro lato c'erano due genitori preoccupati e il senso di responsabilità. Ha iniziato con una gara di auto d'epoca, alle porte di casa, in coppia con suo padre, con un'Alfa Romeo Giulietta Sprint. Nel 2017, ha corso più veloce di tutti ed è diventata campionessa italiana di gruppo Rs plus nel Campionato Italiano Velocità Montagna. Femmina in un mondo di maschi, il suo sogno lo ha raggiunto e superato. Ha disputato e vinto anche il trofeo monomarca Mini Challenge nel 2016. «Mio padre correva in macchina, è lui che mi ha fatto conoscere il mondo dei motori». Ma c'erano anche «molti dubbi sul fatto che io sarei riuscita a diventare pilota. Per me era una cosa talmente lontana e quasi impossibile che avevo un po' perso la speranza». Il padre di Rachele aveva provato a farla andare sui go-kart da piccola, ma lei aveva dei problemi. «Non abbiamo intrapreso questa strada come fa la maggior parte dei piloti, che iniziano già da piccoli con i go-kart che sono la palestra di tutti i ragazzini. A me questa parte è mancata. Però quando ho compiuto 18 anni, ho espresso il desiderio di provare».

E tutto è partito da lì, da quando Rachele ha capito che ce la poteva fare: «Le forze le avevo. Dovevo solo trovare il modo di correre in macchina». E non è così semplice. Perché quello automobilistico è un ambiente un po' di nicchia. «Quelli che vedevo con il binocolo, perché mi sembravano impossibili erano i rally». Ma è riuscita a fare anche i rally. C'erano anche le lunghe sedute di fisioterapia respiratoria per liberare i polmoni dal muco in eccesso. «Tutte le secrezioni del nostro corpo sono più dense e il nostro sudore è cinque volte più concentrato» dice Rachele. Per questo servono una rigida autodisciplina fatta di lunghe sedute di fisioterapia, allenamenti in palestra e l'attenzione nel reintegrare il sodio quando si suda. «Con fatica e un bel po' di testardaggine» Rachele riesce ad avere la forza per correre, seguendo attentamente le terapie, cercando sempre di essere attenta e metodica. Ed è diventata il volto e la voce per il sostegno alla ricerca.

I suoi genitori sono la sua squadra. «La malattia, fino a oggi, è stata meno severa rispetto a quella di altri. Mi sono sentita fortunata in questo. Tanti coetanei hanno una situazione più compromessa e devono esclusivamente pensare a curarsi». Sin dalla sua prima gara ha iniziato a «correre per un respiro», tanto che quella frase l'ha sempre accompagnata. Perché, in fondo, Rachele si dice: «Perché nascondersi? Questa malattia la devo far conoscere».

E così, grazie ai suoi successi - e solo nel mondo del motorsport - Rachele è riuscita a raccogliere 110mila euro con la sua campagna di sensibilizzazione #CorrerePerUnRespiro, che ha come obiettivo quello di finanziare importanti progetti di ricerca per la fibrosi cistica con il fine di sconfiggere questa malattia incurabile e ridare speranza a tanti ragazzi come lei.

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