Salgono le quotazioni di Mario Draghi al Quirinale. E, contestualmente, si tratta sulla nuova squadra di governo, a partire da chi sarà il suo successore a Palazzo Chigi. Continuano a rimbalzare i nomi del Guardasigilli Marta Cartabia e del ministro Vittorio Colao, soluzioni che a molti appaiono però piuttosto improbabili perché certificherebbero nei fatto una clamorosa sconfitta della politica. L’Italia, infatti, per la prima volta nella sua storia si troverebbe con due tecnici ai massimi vertici istituzionali del Paese: Quirinale e Palazzo Chigi.
Di certo, però, c’è che il braccio di ferro è iniziato. E riguarda buona parte delle poltrone di governo. Anche perché molti ministri – da Cartabia a Colao, passando per Enrico Giovannini e Roberto Cingolani – si considerano ormai a fine corsa, tanto che nei rispettivi ministeri il lavoro si è andato congelando da giorni in attesa che si chiuda la partita del Colle.
D’altra parte, se davvero Draghi dovesse traslocare al Quirinale, è lecito che i leader di partito chiedano di rimettere mano alle caselle di governo. Anche perché, non è un mistero, quando si trattò di scegliere chi avrebbe seduto al tavolo del Consiglio dei ministri, l’ex Bce rimbalzò le richieste che gli erano arrivate direttamente da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi e decise in autonomia.
Non a caso, sul punto sta ragionando da giorni proprio il leader della Lega. Caricarsi il peso politico di sostenere un governo evidentemente debole – e senza la leadership di una personalità come Draghi – rischia infatti di avere un costo alto per il Carroccio. Soprattutto nell’anno elettorale che porta alle elezioni del 2023. E con Giorgia Meloni a fare, da sola, un’opposizione che sarebbe durissima. Almeno, con un ruolo ministeriale importante, Salvini avrebbe modo di intestarsi in prima persona una serie di battaglie e non essere costretto – come è stato in questi mesi – a giocare sempre di rimessa. Ovviamente, il leader leghista guarda ancora al Viminale, che è e resta il suo pallino. Ma è altamente improbabile che il Pd possa entrare in un governo dove Salvini ricopre il ruolo di ministro dell’Interno. Ecco perché si ragiona anche su altre caselle, dal ministero delle Infrastrutture a quello dell’Agricoltura. Sempre che il Pd accetti. Perché, confidava ieri Salvini durante il faccia a faccia con Giuseppe Conte, “Letta è pronto a mettere il veto sul mio nome”.
Un altro che ci sta pensando, anche se lo nega categoricamente, è proprio Conte. Che, certo, da ex premier non potrebbe sedere su una poltrona ministeriale che non sia di prima fascia. Ma per l’ex autoproclamato avvocato del popolo si aprirebbero due questioni. La prima è che difficilmente un ministero di peso non andrà all’attuale titolare della Farnesina, Luigi Di Maio. La seconda riguarda invece il Movimento. Perché è vero, come dice in privato ai suoi interlocutori Conte, che in questo anno che precede le elezioni dovrebbe “dedicarsi solo al partito”.
E che andare al governo rischierebbe di fargli perdere definitivamente le briglie dei gruppi parlamentari che già ora si muovono in ordine sparso, in alcuni casi in maniera quasi incontrollabile.Una partita, quella delle poltrone di un governo post-Draghi, che – dunque – complica non poco la corsa dell’ex numero della Bce verso il Colle.
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