Letta gli chiede di dire no ai voti della mafia? Lui lo fa, e subito il vice di Letta, Provenzano, rilancia e gli dice di prendere le distanze da Cuffaro e Dell'Utri: hanno scontato le loro condanne, ma non sono abbastanza «adamantini». Come si corre per la poltrona di sindaco di Palermo se gli avversari ti chiedono la patente antimafia stabilendo le regole? Roberto Lagalla, ex rettore dell'Università di Palermo e assessore regionale fino a marzo, lo sa bene. «Addossare agli altri la colpa di non essersi messi a posto, estorcere un'abiura, sono modalità tipiche di una certa cultura», spiega al Giornale. «Spiace - prosegue - che la sinistra abbia declinato in narrazione pretestuosa tutto ciò. Figlia anche della fallace pretesa di detenere il punto di vista morale privilegiato sul mondo. Un'illusione, smentita dai fatti. Quanti oggi si ergono a certificatori della legalità altrui non hanno mai preso le distanze da una certa antimafia, oggi alla sbarra, che ha inquinato l'Isola negli anni passati».
Lei ha messo insieme un centrodestra che in Sicilia non trovava la quadra. L'esperienza di Palermo può diventare un modello anche a livello nazionale per la coalizione?
«La mia è nata come candidatura solitaria. Mi sono dimesso da assessore e con due sole liste civiche ho iniziato questa avvincente e difficile avventura. I partiti sono confluiti dopo, senza condizionamenti da parte di chicchessia. Essere il punto di riferimento a Palermo di un'area ampia e omogenea mi inorgoglisce, non può che giovare alla città. Il peso specifico di chi mi sostiene sulle scelte del governo nazionale, infatti, sarà fondamentale per garantire alla città un vero e proprio Piano Marshall, come accaduto a Torino e Napoli. L'alternativa è la dichiarazione di dissesto finanziario».
Da quest'area ampia è uscito Matteo Renzi, anche se Italia viva per prima aveva puntato su di lei.
«Non entro nelle decisioni interne dei singoli partiti. Se Renzi ha deciso così lo avrà fatto dopo valutazioni ben ponderate. In ogni caso in questa tornata elettorale non esiste una lista autonoma di Italia viva».
Leoluca Orlando ha amministrato questa città per 22 anni, gli ultimi dieci consecutivi. Da candidato a succedergli, oltre che da medico, come trova che se la passi Palermo, oggi?
«Nei primi anni da sindaco ha favorito la formazione di una cultura antimafia dalla quale non retrocederemo di un passo. Ma oggi Palermo è una nave senza nocchiero in gran tempesta. L'immagine più vivida di questa stagione è il cimitero dei Rotoli. Bare insepolte, ammassate nei viali.
La dignità della morte calpestata. È la prima emergenza che affronterò. Poi anche la questione rifiuti, una bomba a orologeria pronta a esplodere; così come la rimodulazione della viabilità rendendola sostenibile dal punto di vista ecologico».
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