Non c'è come il profumo del potere per mandare a gambe all'aria le tregue politiche. E questa regola aurea vale soprattutto all'interno dei partiti, dove le stagioni dei sorrisi tra amici sono sempre propedeutiche a quelle delle faide con vista sulle poltrone più ambite. I democratici americani non fanno certamente eccezione all'assunto, anzi. Dopo essersi gagliardamente scannati nella stagione delle primarie, radicali e moderati si erano dovuti ricompattare sul nome del centrista di lunghissimo corso Joe Biden, percepito come l'uomo in grado di vincere il braccio di ferro (tra ultrasettantenni, ma tant'è) con il detestato e temuto Donald Trump. La tregua era stata armata, ma rispettata, anche se l'indistruttibile alfiere del socialismo all'americana Bernie Sanders aveva avuto il suo daffare per convincere i suoi agguerriti e numerosi sostenitori che correre sotto le bandiere di Biden fosse la cosa giusta da fare: piuttosto che astenersi con disgusto dal voto e rimandare così Trump alla Casa Bianca, meglio aiutare ad imporsi un maestro del compromesso al quale, a vittoria conseguita, si sarebbe potuto presentare il conto.
Qualcosa di molto simile si era acconciata a tollerare anche l'altra portabandiera del massimalismo democratico. La senatrice del Massachusetts e professoressa di economia Elizabeth Warren si era arresa più tardi e meno facilmente all'avanzata di Biden, e quando aveva dovuto prendere atto che la sua candidatura alla Casa Bianca era ormai velleitaria aveva preteso come e più di Sanders che le istanze della sinistra radicale sarebbero state tenuto in debito conto al momento di sedersi al tavolo della spartizione delle poltrone. Biden aveva fatto delle promesse anche pubbliche ai due falchi della sinistra interna, e ora che si comincia a parlare concretamente della sua prossima Amministrazione (leggi: ministri) eccoli entrambi puntuali con il tovagliolo al collo, pronti a contendere ai fratelli-coltelli centristi i piatti più succulenti.
Sanders ha già indicato da tempo la sua pietanza preferita: nientemeno che il ministero del Lavoro, il luogo ideale in cui applicare le sue ricette stataliste e assistenzialiste, vecchie come e più di lui e che sembrano concepite apposta per far rizzare i capelli in testa all'intera America non liberal, compresa quella che non ha votato per Trump e che si è fidata di Biden. La Warren non ha minori appetiti, e punta apertamente al ministero del Tesoro: il che non può sorprendere, considerato che ha messo mano insieme con il futuro presidente al programma economico della prossima Amministrazione democratica.
Sembra più probabile che Biden accontenterà la Warren piuttosto che il meno addomesticabile Sanders, per il quale i bene informati anticipano che il vecchio Joe abbia preparato una trappola motivata con la necessità di conservare il suo seggio senatoriale, prezioso per i delicati equilibri al Congresso. Si vedrà. Intanto è certo che proprio la verosimile impossibilità di contare su una maggioranza dem al Senato fornirà a Biden una giustificazione per la rinuncia a proporre candidati ministri troppo radicali: i repubblicani glieli boccerebbero. Saranno dunque gli equilibri al Congresso a spingere il prossimo presidente verso scelte più moderate all'interno del suo partito.
Mentre pare confermata dalle indiscrezioni la volontà di Biden di dare ampio spazio alle donne: già collocata alla vicepresidenza Kamala Harris, esponente di una sinistra relativamente moderata, è lunga la lista delle candidate a ministeri importanti, da Susan Rice al Dipartimento di Stato a Sally Yates alla Giustizia, da Michele Flournoy alla Difesa fino a Lael Brainard come possibile alternativa alla Warren al Tesoro.
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