E se fosse la mafia a soffiare sul fuoco delle carceri? Se è vero, come dicono i sindacati della polizia penitenziaria, che le prigioni italiane sono una «polveriera pronta ad esplodere» è senza dubbio colpa delle condizioni disastrose in cui si vive al loro interno. Ma a preoccupare in questi giorni i vertici della amministrazione penitenziaria è l'influsso potenziale di due fattori: la speranza, grazie alle dichiarazioni continue delle sinistre, di provvedimenti a breve termine di scarcerazioni di massa; e il passaparola gestito dalle organizzazioni criminali per coordinare violenze e rivolte simili a quelle di quattro anni fa, ai tempi dell'emergenza Covid. Già allora a sventolare la parola d'ordine dell'indulto erano anche personaggi legati ai clan. L'indulto non arrivò, le rivolte continuarono e il bilancio fu tragico, con più di venti detenuti morti nei disordini.
Per evitare che uno scenario simile si ripeta il ministero della Giustizia tiene monitorato attentamente l'andamento delle proteste più esagitate a partire dal mese di maggio. I dati raccolti sembrano confermare la presenza in alcuni istituti di uno zoccolo duro della protesta che porta ad allarmi a ripetizione, nonostante - numeri alla mano - non sempre si tratti di carceri che fanno parte della top ten della invivibilità. È il caso per esempio della struttura di Catanzaro, dove forme violente di protesta proseguono con costanza da maggio nonostante il tasso di sovraffollamento sia del 130 per cento, certo sgradevole ma lontano dalle punte drammatiche registrate in altre realtà come Canton Mombello, a Brescia, dove si è superato il 230 per cento.
Eppure a Brescia l'ordine pubblico appare sotto controllo mentre a Catanzaro ancora l'altro giorno un agente è stato aggredito a testate. Nel caso specifico pare che l'autore sia un detenuto con problemi psichiatrici ma forse non è casuale che a vedere un clima così pesante sia un carcere, come Catanzaro, ad alta composizione di delinquenza organizzata.
Dell'elenco delle carceri più «agitate» pubblicato qui accanto fanno parte istituti che ospitano sia reparti di media sicurezza che di alta sicurezza. È lì, nel mix tra detenuti comuni e mafiosi, che il rischio di scintille dalle conseguenze imprevedibili è più alto.
Poi, certo, il messaggio delle rivolte si diffonde anche a strutture dove la presenza mafiosa è minore, e trova terreno di coltura in situazioni oggettivamente intollerabili. È il caso del carcere di Vazia, a Rieti, una struttura di media sicurezza che fa parte della lista degli istituti a più alto tasso di proteste, e che con una capienza ufficiale di 295 posti registra oggi 492 detenuti. Praticamente un inferno.
La situazione drammatica di Varzia fa capire bene come le proposte di legge svuota carceri destinate a restare sulla carta abbiano finito con il surriscaldare il clima: l'altro ieri trecento detenuti del carcere reatino si sono ribellati, rifiutando di rientrare nelle celle e impadronendosi di fatto del reparto G, il più grosso del carcere, e mantenendone il controllo per tutta la notte. Parole d'ordine, amnistia e indulto. È la conseguenza, dicono i sindacati della polizia penitenziaria, di chi in questi giorni interviene sull'emergenza carceri illudendo i detenuti con leggi improbabili.
Non è un caso che il miraggio dell'indulto stia facendo presa anche in strutture che non si possono considerare sovraffollate ma dove, come in ogni prigione del mondo, il sogno di tutti è uscire il prima possibile. L'esasperazione politica e mediatica porta a scatenare la rabbia anche in carceri dove la capienza viene rispettata: è il caso di Carinola, in provincia di Caserta, ex carcere di massima sicurezza oggi riconvertito in istituto a custodia attenuata, una prigione dal volto umano con 488 posti e 493 reclusi.
E dove ciò nonostante l'altro giorno cinquanta detenuti hanno preso d'assalto l'ufficio di sorveglianza armati di bastoni - riferisce il sindacato Sappe - per aggredire e picchiare il comandante e l'ispettore. Siamo in balia di questi facinorosi convinti di essere in un albergo.
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