Da parecchio tempo esaurito nelle librerie, mercoledì 26 novembre esce in una nuova edizione "Falce e carrello", il best-seller in cui Bernardo Caprotti, fondatore di Esselunga, denuncia la guerra sporca contro la propria catena di supermercati condotta dalle cooperative rosse. Pubblicato nel 2007, il volume è stato oggetto di infuocate polemiche e di numerose cause giudiziarie non ancora concluse (il 19 settembre 2011 venne ritirato dalle librerie con sentenza del tribunale di Milano, salvo riapparirvi dopo 99 giorni, dissequestrato da un'ordinanza della Corte d'appello). Di tutto questo tratta lo stesso Caprotti nella «Premessa» che ha steso lo scorso 7 ottobre e che figura in apertura della nuova edizione. Il Giornale la pubblica integralmente e in esclusiva per gentile concessione dell'autore e dell'editore Marsilio.
Sono passati sette anni e in molti mi hanno chiesto cosa fosse successo dopo la pubblicazione del mio libro.
Ci furono alcune reazioni che definirei scomposte. L'esimio professore Giovanni Panzarini, qui a Milano eccelso nel diritto societario e da oltre vent'anni nostro avvocato, subito, il giorno successivo alla presentazione, telefonò all'amministratore delegato di Esselunga, Carlo Salza, e, senza neppure aver visto di che cosa si trattasse, rimise il mandato.
Il signor Giuliano Poletti, allora presidente della Lega delle Cooperative, inventò una nuova teoria economica dichiarando a Panorama del 4 ottobre 2007 a proposito di tasse: «... Ah, bene, parliamo di tasse... proviamo a ragionare non sulle percentuali ma sui numeri assoluti. Una spa che dichiara utili per 10 milioni e ha un'aliquota del 34 per cento paga molte meno tasse di una cooperativa che ha un'aliquota del 17 per cento ma che la applica su 100 milioni». Cioè: fatturi 1.000 e paghi il 10%? Uguale a 100 di tasse. Fatturi 100 e paghi il 40%? Paghi 40. Quindi molto meno! Roba che sta scritta! Nel silenzio generale!
E i signori Soldi e Tassinari, rispettivamente all'epoca presidente di Ancc, Associazione nazionale cooperative consumatori, e presidente di Coop Italia, convocano una precipitosa conferenza stampa nella quale si lasciano andare ad amene dichiarazioni. Tassinari, nel suo inglese approssimativo, modenese, dichiara che è scoppiata una war-price. Cos'è? Il costo di una guerra? Forse voleva dire price-war, dizione americana per «guerra dei prezzi». Da andare in sollucchero.
Però, in quel dicembre 2007 arriva la prima citazione in giudizio. Ma ne arrivano tante altre. Così, negli anni, dopo alcune migliaia di pagine di «atti», vinciamo otto cause in prima istanza e tre in appello. Ma or ora sono arrivati tre ricorsi in Cassazione. 280 pagine di legalese. Loro hanno molti soldi - dei soci - e molto tempo.
Intanto, autonomamente, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato nel febbraio del 2011 apre un procedimento contro Coop Estense (Modena) col quale accerta il grave abuso di posizione dominante della cooperativa, consistente in «un'unica strategia escludente», articolata in comportamenti tesi a ostacolare l'avvio di attività commerciali da parte del concorrente, e la condanna, tra l'altro, al pagamento di un'ammenda di 4 milioni e 600.000 euro.
Il provvedimento verrà confermato in via definitiva dal Consiglio di Stato a seguito di un'ineffabile sentenza del Tar (Tribunale amministrativo regionale) del Lazio che ne aveva annullato gli effetti.
Queste, in quattro righe, sono alcune tra le vicende di sette anni, di migliaia di pagine di atti, più di 5 milioni di euro di spese legali e un numero non quantificabile di ore passate in riunioni con grandi avvocati.
E i reperti etruschi di Bologna? Sono andato di persona l'11 di giugno del 2011 ed erano sempre là, nel più totale abbandono. Ma questa è cosa che alla Corte di Cassazione non pertiene.
Un'ultima precisazione: scrissi Falce e carrello senza troppo documentarmi, se non sui fatti specifici, tutti provati. Dopo, siamo andati a cercare e abbiamo trovato una chicca: Togliatti, al suo ritorno dalla Russia nel 1944, era contrario alle Coop. Pur essendo un modello di impresa particolare, era pur sempre un'impresa, dunque contraria ai purissimi suoi principi comunisti. Ecco, dal suo intervento al secondo Consiglio nazionale del Partito comunista italiano del 7 aprile 1945: « ...Non è pensabile che un gruppo di avanguardia si organizzi isolatamente dalle masse per garantirsi condizioni di privilegio nella soluzione di determinati bisogni economici. Non possiamo dunque essere un partito di leghe e cooperative per la natura stessa del nostro partito».
Ma essendo Palmiro uomo molto intelligente, anzi, con Guglielmo Marconi e Luigi Pirandello, uno dei tre geni che il nostro Paese ha espresso nel secolo scorso, capì. Capì quale straordinario strumento di affiliazione e propaganda avrebbero potuto essere le Coop. E non appena al Congresso della Lega delle Cooperative, tenutosi a Reggio Emilia tra il 15 ed il 17 giugno 1947, i comunisti si assicurarono la maggioranza col 58 per cento dei voti, emarginando repubblicani, socialdemocratici e anche i socialisti, Togliatti in persona designò Giulio Cerreti alla presidenza. Era un comunista superdoc, cofondatore del partito nel 1921 a Livorno, un dirigente di partito con un passato prestigioso. Spagna, Francia, dal 1932 membro del Comitato centrale del Partito comunista francese. Poi esponente di rilievo del Pci, godeva della fiducia incondizionata dell'Unione Sovietica. Di cooperative non sapeva nulla, ma era un politico di professione, che aveva dato prova di fede e di una dedizione assoluta alla causa comunista.
Cerreti, nel giro di sei-sette mesi, riuscì a insediare ai vertici delle Cooperative di tutto il Paese, a livello locale e regionale, decine di importanti dirigenti di partito. Ci fu una vera e propria immissione di quadri. Capitani coraggiosi.
È su questi fatti documentati che il signor
Poletti, sempre sul numero di Panorama del 4 ottobre 2007, dichiara: «Ma quale contiguità?». Non c'è «contiguità» di Coop col «partito» e con le sue amministrazioni?Che dire? All'inglese, anzi, alla Tassinari: « No comment».
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