Così l'intelligence europea prova a copiare l'anti-mafia

Poca condivisione di dati e troppe gelosie: i Paesi cercano di superare i limiti dei servizi segreti. Puntando sul coordinamento, come in Italia

Il blitz delle teste di cuoio a Molenbeek, in Belgio
Il blitz delle teste di cuoio a Molenbeek, in Belgio

Dal 1999 si parla di una intelligence europea, ma solo ora che gli attentati di Bruxelles hanno mostrato clamorosamente che danni possono fare le gelosie nazionali di tenere per sè notizie sensibili, il progetto potrebbe decollare. Alla vigilia della riunione straordinaria a Bruxelles dei ministri degli Interni e della Giustizia dei Paesi Ue, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo lancia un segnale chiaro.

«Sia pur in fase di assoluta emergenza», l'auspicio di Franco Roberti è che «dopo gli attentati anche i Paesi più restii ora siano disposti a far circolare in tempo reale le informazioni». C'è un'accusa, nelle sue parole. Perché, si sa, le resistenze sono forti. Come dopo le stragi di Parigi, rischiano di cadere nel vuoto le raccomandazioni di coordinamento sia tra i servizi che tra le autorità giudiziarie del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, del commissario agli Affari interni Dimitris Avramopoulos, del ministro della Giustizia del Lussemburgo Felix Braz. La Superprocura Ue, dice il Guardasigilli Andrea Orlando, è per molti Stati «uno spauracchio, perché implicherebbe una cessione di sovranità». Eppure, insiste il nostro superprocuratore, «nessuno può tenersi informazioni per sè. C'è assoluta necessità di una cultura della condivisione dei dati, non tutti ce l'hanno come noi». L'Italia, per una volta, può dare lezioni perché ha una tradizione di «coordinamento investigativo e giudiziario, in misura maggiore rispetto ad altri Paesi». La storica lotta alla mafia, evidentemente, ha insegnato qualcosa. Finora in Europa, dice Roberti, il percorso è stato «accidentato» sulla figura del procuratore europeo anche perché sono diversi i modelli nazionali di pm.

Ma è «quello italiano, autonomo e indipendente dal potere politico, che possa esercitare azione penale per i reati più gravi», che dovrebbe ispirare la nuova istituzione. A pesare sulla necessità di invertire la rotta e far cooperare 007 e inquirenti dei Paesi Ue nella lotta al terrorismo sono fatti eclatanti: dai 4 mesi di infruttuosa caccia all'attentatore di Parigi Salah Abdeslam, che si nascondeva indisturbato nel suo quartiere a Molenbeek, al rimprovero del presidente Recep Erdogan sull'espulsione dalla Turchia verso l'Olanda di uno dei kamikaze dell'aeroporto di Zavetem, il belga Ibrahim el Bakraoui, inutilmente segnalato come foreign fighter. Le falle della sicurezza del Belgio appaiono come voragini, i francesi parlano di gestione «naif», ma a finire sotto accusa è la mancanza di reale cooperazione tra i servizi e le autorità giudiziarie di tutti i Paesi Ue.

Le notizie preziose anche stavolta c'erano, ma non sono state scambiate come dovevano. Il risultato è stato di sangue.Ora l'Italia può indicare la strada giusta, per il ministro dell'Interno Angelino Alfano «abbiamo il centro di coordinamento, il Casa (Comitato di analisi strategica antiterrorismo, ndr), ed è un modello che vogliamo esportare. Alcuni sono d'accordo e altri no». Resistenze, ancora resistenze, perché tante notizie vuol dire tanto potere.

Ma Ronald Plasterk, ministro della Giustizia dei Paesi Bassi, il cui governo ha la presidenza del Consiglio Ue, promette che a livello di forze di polizia e di sicurezza, sarà fatto «di tutto per avere una condivisione delle informazioni». Il segreto per vincere i fanatici è uno solo, per Avramopoulos, «avere più fiducia». Più degli egoismi nazionali.

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