Ieri si è tenuta l'ultima assemblea della Confindustria guidata da Carlo Bonomi: è stata la sublimazione di quattro anni disastrosi. E la colpa non è del solo Presidente, che pure ha un bel po' di responsabilità. Sia detto subito, inoltre, che Bonomi è riuscito a controllare i conti (del disastrato Sole 24 Ore e della struttura romana) molto meglio dei suoi predecessori. L'organizzazione che raggruppa una parte sempre meno rilevante delle imprese private italiane più che sbagliare, il che almeno rappresenterebbe un sussulto di vitalità, è diventata irrilevante. Inutile. Ma vi sembra normale che negli ultimi due anni, il momento più importante di Confindustria, sia detto con rispetto, sia dedicato ai discorsi del Santo Padre, l'anno scorso, e del Presidente della Repubblica, ieri appunto? Pensate che gli imprenditori siano soddisfatti di vedere trasformata la propria assemblea in un convegno: sempre di alto profilo. Santo Cielo. Ma pur sempre un convegno. È questo il ruolo sindacale che si attribuisce come scopo la costosa macchina confindustriale?
È fondamentale difendere la nostra democrazia e onorarla, pur non capendo che rischi corra proprio oggi, ma forse sarebbe stato meglio capire la strategia che gli industriali si danno sui progetti dei deindustrializzazione portati avanti dalla Commissione europea (dai limiti di inquinamento della pianura padana alla direttiva sugli imballaggi, dalla distruzione dell'industria dei motori termici alla decarbonizazzione a tappe forzate) o come affrontare le proposte governative di cambio delle leggi di governance delle imprese o di rischio di rarefazione del credito.
Il freddo applauso con il quale è stato accolto ieri Bonomi è l'indice di un malessere che si sta assai diffondendo. Bisogna però ricordare ai nostri amici industriali che il loro Presidente non è stato catapultato a viale dell'Astronomia. È stato scelto da loro. E prima di venire a Roma era a capo di una delle associazioni territoriali più importanti d'Italia, e cioè la milanese Assolombarda.
Tutti sono al corrente del fatto che l'abile Bonomi, di fatto, ha una partecipazione in una microazienda: niente di più. E in molti si ricordano di come dal giorno dopo la sua elezione ha concorso per ottenere qualche incarico retribuito e pubblico (uno in Fiera di Milano gli è andato a segno). Nulla di male per carità.
Ma è la figura che gli industriali immaginano come loro rappresentate? Come uomo di forza che si batte in sede nazionale per la difesa delle imprese? Maddai. Non ci crede neanche Babbo Natale. Bonomi è stato politicamente irrilevante e così la sua organizzazione, ma si tratta di una scelta che l'establishment industriale ha più o meno consapevolmente fatto.
Le prime file delle assemblee sono da anni riservate ai politici e ai grandi boiardi di Stato: pensate davvero che questi ultimi abbiamo bisogno di Bonomi o chi per lui, nell'ottenere ciò che vogliono dal governo?
In Confindustria esiste un circoletto Verdurin di decisori a cui sta bene un'organizzazione irrilevante, purché faccia toccare loro la palla. Anzi le due palle: l'univerisità Luiss e il Sole 24 ore.
La prima è diventata la prima alleata della cultura anti industriale italiana: se cercate un opinione green, sostenibile, politicamente corretta, statalista, rivolgetevi da quelle parti. E il Sole, anche grazie ad un direttore serio e una struttura di raccolta pubblicitaria ben congeniata, resta un buono strumento di opinione: verrebbe da dire beati monoculi in terra caecorum.
Eppure mai come in questo momento servirebbe un'organizzazione datoriale, forte, preparata, dotata di leadership. Ma veramente gli imprenditori si devono sentire dire (ieri in assemblea) che è «la Costituzione a riconoscere al lavoratore un salario giusto». Luigi Einaudi si rivolterebbe nella tomba, della Costituzione conosceva più di un dettaglio, ma non smetteva di ricordare come «migliaia, milioni di individui, lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È una vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno». Non sono le leggi, neanche la più nobile, che rendono grandi gli imprenditori, floride le loro imprese e «giusti» i salari dei propri collaboratori. Ma la loro vocazione ad essere imprenditori.
Esistono ancora pezzi del sistema confindustriale, che pensano più ai propri associati che alla carriera dei loro leader pro tempore. Ma ci si deve allontanare da Roma, si deve andare nelle strutture verticali e di settore e nelle territoriali.
Un pezzo di associati che conviene rimettere dentro, allontanandosi dalla convegnistica e dalle foresterie di Roma, convincendo loro che un'associazione datoriale forte e autorevole, potrebbe difendere bene le ragioni dell'impresa. Che regolarmente vengono messe sotto scacco. Sul prossimo presidente non si può sbagliare.
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