Con almeno un detenuto su dieci già in sciopero della fame il rischio del ricatto sanitario per emulare la protesta dell'anarchico Alfredo Cospito è altissimo. Il dato non è ufficiale, lo si fa a fine anno: al telefono il direttore del Dap Giovanni Russo declina l'invito a parlare del caso («chiamate il ministero», dice), a testimonianza che il cortocircuito che l'anarchico al 41bis è riuscito a innescare «giocando» con la politica rischia di mandare in blackout il disastrato pianeta carceri.
Cospito è in sciopero della fame da 130 giorni ed è convinto di «morire presto». Oggi sarà il legale a visitarlo nel reparto di Medicina penitenziaria del San Paolo a Milano dove nelle prossime ore riceverà la visita del suo avvocato dopo la decisione della Suprema Corte che ha confermato il regime di carcere duro per l'anarchico che ha gambizzato un dirigente della Ansaldo e che voleva far scoppiare una bomba alla caserma dei carabinieri di Fossano, a Cuneo. «Cospito non ha inventato niente - dice al Giornale Mimmo Nicotra, presidente della Confederazione sindacati penitenziari - la sua protesta l'hanno gonfiata un gruppo di politici che sono andati lì e i giornali dandogli voce».
L'astensione dal cibo è una forma molto comune, «chi lo attua lo fa come gesto estremo per proclamare, anche a sacrificio della vita, la sua innocenza o l'ingiustizia della sanzione - spiega l'avvocato Ivano Iai - ma c'è anche chi attenta alla propria salute al solo scopo di eludere l'espiazione di una pena legittima. Sono due cose ben distinte». «Certo, se un detenuto percepisce che questa protesta funziona è facile che il tam tam sia partito», conferma una fonte vicina al Dap che preferisce l'anonimato. «Di solito lo sciopero della fame dura un paio di giorni», spiega un sindacalista di un carcere campano, i casi di chi digiuna davvero per più di tre giorni sono molto meno frequenti «e vengono subito monitorati dai medici», spiega la fonte. Lo stesso Cospito non ha mai smesso di assumere cibo, anzi. «Ogni tanto prende zuccheri, sali... rifiuta il cibo dell'amministrazione ma poi lo compra, altrimenti nessuno durerebbe 130 giorni...». «I detenuti non sono così coalizzati ma è vero che da sempre nelle carceri c'è chi soffia sull'ignoranza. Qualche anno fa - racconta un ex guardia carceraria ora a riposo - in un carcere ci fu un boom di suicidi. Scoprimmo che l'effetto emulazione si mescolava a una sorta di moral suasion dei detenuti con regimi più severi verso le persone più fragili, con l'obiettivo di allentare la stretta per un po' di tempo».
E intanto alla sbarra ci è finito il 41bis: secondo l'avvocato Claudio Defilippi «è un sistema inutilmente truce che va riformato, il legittimo diritto-dovere dello Stato di interrompere i rapporti tra detenuti e clan è naufragato». Dello stesso avviso Roberto Giachetti di Azione-Italia viva. «Con celle aperte e riduzione dei controlli i pm chiedono 41 bis anche a chi non ne avrebbe bisogno. Così il sistema salta, ha spiegato l'ex numero uno Dap Sebastiano Ardita alla Stampa.
Intanto le carceri ribollono di rabbia. «Colpa di riforme sbagliate, tagli inopportuni, eliminazione della sanità penitenziaria. Chi hanno fatto questo disastro dovrebbe fare mea culpa», dice Giovanni Battista Durante del Sappe. Ieri in un carcere del Cosentino c'erano dieci guardie con trecento detenuti. «Presto ci saranno altre evasioni eccellenti», denuncia un dirigente.
Quante delle 5mila assunzioni promesse ieri dal nuovo capo di gabinetto del ministero della Giustizia Alberto Rizzo serviranno a rafforzare gli organici della polizia penitenziaria ormai al lumicino? Citofonare Carlo Nordio.
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