Fuori dal carcere, ma sempre al 41 bis. È questa l'ipotesi che si sta facendo largo tra i magistrati milanesi chiamati a valutare la posizione di Alfredo Cospito, arrivato al 108° giorno di sciopero della fame. Di fronte all'aggravamento delle condizioni di salute dell'anarchico, monitorate costantemente dai sanitari del carcere di Opera, l'unica soluzione praticabile sembra essere il trasferimento nel reparto penitenziario di massima sicurezza da anni allestito presso l'ospedale San Paolo, e già «testato» con detenuti di alto spessore criminale, tra i quali Totò Riina.
Non accadrà a breve, visto che la situazione per ora è considerata «stabile». E comunque più in là di questo i giudici di sorveglianza non potranno andare. Una sospensione della pena per motivi di salute non appare giustificata perché l'unica patologia di cui soffre Cospito è la debilitazione causata dal digiuno, e disporre la sua scarcerazione costituirebbe un precedente devastante. «Se un domani facessero lo sciopero della fame i boss mafiosi - si ragiona a Palazzo di giustizia - dovremmo venire incontro anche a loro...». Un trattamento più blando, con la revoca del 41 bis, è di competenza esclusiva del ministero. Così dal tribunale milanese l'unico provvedimento possibile per scongiurare un esito drammatico della protesta dell'anarchico resta il suo trasferimento in ospedale, dove eventuali crisi potrebbero essere affrontate più efficacemente.
Anche secondo il difensore del detenuto, Flavio Rossi Albertini, è «verosimile» che Cospito lasci a la cella di Opera dove è detenuto da martedì scorso per approdare in ospedale. Ma lo stesso legale ribadisce che Cospito continuerebbe comunque a fare lo sciopero della fame anche in corsia e rifiuterebbe qualunque forma di alimentazione forzata. «Abbiamo fatto una diffida che ho inoltrato al ministero e mi è stato notificato che l'hanno inoltrata al carcere, al magistrato di sorveglianza, al provveditore», spiega Rossi Albertini. «L'alimentazione forzata contro la sua volontà sarebbe un fatto gravissimo e costituirebbe un Tso, un trattamento sanitario obbligatorio», conclude l'avvocato. Ed essendo Cospito pienamente lucido, un Tso sarebbe illegittimo.
Ma cosa accadrebbe se il detenuto perdesse i sensi a causa dello sciopero della fame e a quel punto non fosse più in grado di manifestare alcuna volontà? Cospito in vista di questa evenienza ha depositato un testamento biologico in cui dichiara di rifiutare qualunque accanimento terapeutico; ma è tutt'altro che scontato che la legge sul «fine vita» si possa applicare al suo caso. Oltre a essere un ingombrante caso politico, la protesta di Cospito è - come si vede - anche un affare spinoso sul piano giuridico.
L'unica cosa certa è che se si vuole fare qualcosa per impedire la morte dell'uomo bisogna fare in fretta perché una serie di funzioni vitali potrebbero collassare a breve in modo irreversibile. Come spiega all'Ansa il nutrizionista Lorenzo Maria Donini, dopo che è stata consumata la massa grassa l'organismo per ricavare energia «comincia a intaccare la massa magra, ossia i muscoli e gli organi». Così «gli organi cominciano a indebolirsi, compreso il cuore e i muscoli respiratori».
Sono conseguenze che Cospito per ora ha evitato almeno in parte grazie alla robusta stazza iniziale, ma ora il suo corpo sta praticamente mangiando se stesso. Certo, esiste un'altra possibilità: che il ministro della Giustizia la settimana prossima decida di revocare il carcere duro a Cospito. Ma è una eventualità che ad ogni giorno che passa appare sempre più improbabile.
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